Pubblicato il 14 Febbraio 2017

“La lettura nella vita. Modi di leggere, modi di essere”

di Le Ragazze della Redazione

– di Marielle Macé in Quaderni della Ricerca, Loescher Editore, Torino.

«Andavo a ritrovare la vita, la follia nei libri. […] La fanciulla s’innamorava dell’esploratore che le aveva salvato la vita, tutto finiva con unmatrimonio. Da questi periodici e da questi libri ho tratto la mia più intima fantasmagoria…».

Un giovane Sartre sguaina verso il cielo questa spada immaginaria calandosi nei panni del protagonista, dopo aver letto le avventure di Pardaillan, ma non fa nulla di strano, né di diverso da quello che facciamo tutti noi quando leggiamo e quando sentiamo tutta l’attrazione delle possibilità e delle promesse di esistenza offerte dalla letteratura. Se Marcel, il protagonista di Proust, si rivolge continuamente ai libri, se per primo si impegna nel tentativo di immaginare un riflesso di essi nella propria vita, e se investe tutto il suo sforzo esistenziale nelle letture che fa, non è perché egli sia di un’altra natura – non lo fa soltanto per diventare uno scrittore e per potersi separare dalle forme dell’esistenza quotidiana. No, esattamente come succede per noi, è nella vita ordinaria che le opere d’arte mettono le loro radici, depositano le loro tracce ed esercitano per molto tempo la loro influenza.

Non troviamo la letteratura da una parte e la vita dall’altra, come se fossimo di fronte ad un brutale faccia a faccia privo di scambi che renderebbe incomprensibile la possibilità di credere ai libri – un faccia a faccia che, per esempio, finirebbe per ridurre i desideri romanzeschi di Sartre (o ilmodo incui Emma Bovary si abbandona a certi modelli) a una mera confusione tra realtà e finzione, una rinuncia all’azione, un’umiliazione del reale, e di conseguenza un affievolirsi della capacità di vivere. Esistono piuttosto, all’interno della vita stessa, tensioni, immagini e modi di essere che circolano tra soggetti e opere, che li portano allo scoperto, animandoli e scatenando delle reazioni.

La lettura non è una pratica a sé stante, che finisce per essere solo ed esclusivamente in concorrenza con la vita; è invece uno di quei comportamenti attraverso i quali quotidianamente riusciamo a dare una forma, un sapore e uno stile alla nostra esistenza.

Dare uno stile alla nostra esistenza: cosa vogliamo dire con questo? Non si tratta di una prerogativa di artisti, di esteti o di grandi eroi, ma di una caratteristica propria dell’essere umano: non perché si debbano abbellire i nostri comportamenti dando loro una qualche particolare forma di eleganza, ma perché vi sono pragmaticamente coinvolte le forme stesse della vita.

L’esperienza quotidiana, e al tempo stesso straordinaria, della letteratura riesce così a trovare il suo posto nell’avventura di ogni individuo laddove questi sarà in grado di riappropriarsi del legame con se stesso, con il proprio linguaggio, con le proprie possibilità, proprio perché gli stili letterari si presentano durante la lettura come vere e proprie forme di vita che coinvolgono comportamenti, pratiche, capacità di fronteggiamento e valori esistenziali.

«Nello stile delle rondini»

Aprendo una raccolta di poesie di Francis Ponge, leggo questo titolo: «Dans le style des hirondelles», ed ecco che vengo catturata da una forma esteriore, raccolgo l’invito a seguirne la pratica e a sperimentare su me stessa questo stile, questa particolare forma del vivere.

Chaque hirondelle inlassablement se précipite – infailliblement elle s’exerce – à la signature, selon son espèce, des cieux.
Plume acérée, trempée dans l’encre bleue noire, tu t’écris si vite! Si trace n’en demeure…
Sinon, dans la mémoire, le souvenir d’un élan fougueux, d’un poème bizarre,
Avec retournements en virevoltes aiguës, épingles à cheveux, glissades rapides sur l’aile, accélérations, reprises, nage de requin…

Non si tratta di un destino a cui aspirare, né di un programma di vita; è solamente il disegno di un volo: «Chaque hirondelle inlassablement se précipite – infailliblement elle s’exerce – à la signature, selon son espèce, des cieux».

Fin dalle prime righe questa poesia mostra al lettore la legge degli uccelli. La rondine si esercita nella sua firma – riesco a vedere tutto questo: i segni vigorosi, le virgole blu scuro che traccia volando. Una firma che non è un codice misterioso, che rimane davanti a me immobile come un enigma, ma il movimento dinamico dell’uccello, il suo modo di slanciarsi, la modalità tipica del suo essere, lo stile di questo movimento particolare che le frasi della poesia seguono, illuminano, caratterizzano, e che trascina con sé con forza la mia comprensione e il mio desiderio. Riesco a percepire cosa significherebbe, cosa vorrebbe dire «essere rondine»: quella particolare rapidità, quello stridore, quella forza di volontà e l’accentuarsi di un grido…

Soyons donc un peu plus humains à leur égard; un peu plus attentifs, considératifs, sérieux.
Leur distance à nous, leur différence, ne viendrait-elle pas, précisément, du fait que ce
qu’elles ont de proche de nous est terriblement violenté, contraint par leur autre proximité – celle à des signes abstraits: flammes ou flèches?

Queste rondini «partono da noi e non partono da noi», sono «come» noi, ma allo stesso tempo sono tutt’altro; hanno qualcosa di vicino a noi, ed è questo qualcosa, questo termine di paragone, che in esse si trova a essere forzato, schiacciato, allontanato.

Attraverso questa distanza esse fanno nel cielo «quello che non sapendo fare, noi possiamo soltanto augurarci; non possiamo averne che un’idea»; ma possiamo appunto averne «l’idea». «Sentitelo!», ci dice Ponge più avanti, tentando di farci comprendere l’intensità di questi slanci, di coglierne il significato. Ma tenta anche di farcene cogliere la possibilità sensibile, e allo stesso tempo di simularne internamente il comportamento: «Se dovessimo fare quello che fanno loro!»…

Leggere significa appunto arrivare a cogliere qualcosa di questa velocità, confrontarsi con essa e, riprendendo le parole di Ponge, capire qualcosa di più della propria condizione. Dire che la lettura ci permette di seguire le rondini non significa che impareremo a volare, ma che essa farà penetrare dentro di noi qualcosa di quella competenza, qualcosa della sua tonalità, del suo slancio e delle parole per esprimerla. Potremmo arrivare a dire che è essa stessa a crearla: il disegno del volo, nello sviluppo del testo, rilancia e ridà forza a questa tensione che mi chiama, mi coglie di sorpresa, mi trascina e mi porta da un’altra parte; provo piacere nel dargli una risposta, nel reinventarmi in esso, come se questo stile fosse una variazione che mi fa ritornare sul mio stesso stile.

Catturata e sorpresa da questa presenza espressiva come dalla vivacità di un gesto, sospesa su questa forma esteriore, ne tratteggio e ne provo su me stessa la possibilità, o l’impossibilità. Se questa poesia mi cattura così tanto, è probabilmente anche perché è associata, nella mia personale esperienza, all’immagine di un altro genere di «firma», di un altro gesto praticato damolto tempo nella mia famiglia: il segno che il fornaio traccia con due dita sul pane, marchiando l’impasto prima di infornarlo, firmandolo «a modo suo», con un gesto semplice e inimitabile al tempo stesso. Quando il pane cuoce, questi segni, come le linee scritte da una penna, come gli slanci delle rondini, si accentuano formando i rilievi della crosta, e lo fanno ogni volta in maniera leggermente diversa – e quella è la parte migliore del pane, anche Ponge lo sa.

In Francia chiamiamo questo segno «grigne» e, nel laboratorio di ogni panettiere, è una vera e propria forma di stile. Gli studi mi avevano distolto da questo gesto familiare, dalla sua particolarità e dalla sua risorsa di forza; ma l’esperienza letteraria me l’ha inaspettatamente restituita; trovando forma in una figura analoga, la firma si è lasciata trasmettere con discrezione. Qualcosa del mio rapporto con me stessa e con gli altri, di tutte le potenzialità e di tutti gli ostacoli del mio corpo, della mia stessa lingua, vi si è replicato e ha ripreso il controllo: tutto quello che la vita sociale aveva indebolito, veniva sollecitato nuovamente dalla letteratura, che gli ridava per così dire un futuro. Come se quest’altra forma di reclusione che è la lettura mi avesse restituito questo gesto sotto forma di una forza più ampia, permettendomi di ricordarmene, di raccoglierne l’eredità, di coglierne i riflessi in tutte le sue forme su qualsiasi ambito della vita. Ecco il processo che anima la vita interiore del lettore.

Qualsiasi forma letteraria non si offre a lui come un modo comodo di identificarsi, ma come un’idea che penetra in lui, una forza che tira dentro di lui dei fili e delle possibilità dell’essere. Egli finisce per trovarsi così sospeso sulle frasi, con queste forze di attrazione che nutrono continuamente il suo stesso sforzo di stilizzazione.

Un comportamento estetico

La lettura si offre a noi come un fenomeno di attrazioni e di risposte: i libri offrono alla nostra percezione, alla nostra attenzione e alle nostre capacità di azione delle configurazioni particolari che sono come delle «piste» da seguire. Le forme che essi racchiudono non sono inerti, non sono quadri messi sotto gli occhi dei lettori (del resto nemmeno i «quadri» lo sono), ma delle possibilità di esistenza orientate. La pratica della lettura ci fa sperimentare internamente queste forme come delle forze, delle possibili direzioni per la nostra vita mentale, morale o pratica, chiedendoci di riappropriarci di esse, di imitarle o di disfarcene.

«Seguire un autore nella sua frase», come diceva Proust, implica per il lettore l’adozione di quella pratica che consiste nell’assecondare un testo nella sua singolarità e che sfocia in una concatenazione movimentata di impulsi interiori, in una regolazione continua di consensi e di sfumature. Spesso leggere significa semplicemente sperimentare queste direzioni, dandone testimonianza e offrendo loro una risposta. Rispondere, poiché l’attrazione verso una forma letteraria non è priva di conseguenze sulla nostra esistenza, e lungo le coordinate di questa stessa esistenza: proprio per l’attenzione che vi riponiamo, attratti verso questo movimento e verso il suo particolare disegno, proviamo in risposta le direzioni del nostro slancio, il nostro particolare modo di «firmare» le cose («secondo» la nostra legge) e anche la nostra capacità di cambiare.

Rispondiamo a una chiamata, come trascinati dentro il rapporto delle attrazioni che le frasi letterarie regolano, e ci ricollochiamo in un posto o nell’altro all’interno di questo rapporto. Ponge ha immaginato del resto davanti ai suoi uccelli degli spettatori simili a noi; spettatori che si stropicciano gli occhi, si fanno mille domande sul volo e capiscono meglio se stessi stando «di fronte» al volo, poiché attraverso di esso sperimentano i loro limiti e riescono a vedere tutta l’ampiezza della loro condizione: «A che punto siamo?». Qualsiasi configurazione letteraria indica allora qualcosa come una pista da seguire, un fraseggio all’interno della nostra esistenza.

Per osservare meglio questa dinamica bisogna considerare la lettura come un comportamento o una condotta più che come un decifrare. Un comportamento «dentro» il libro: è questione di attenzione, percezione ed esperienza, un percorso mentale, fisico e affettivo all’interno di una forma linguistica. Ma anche un modo di comportarsi «con» il libro, e un modo di comportarsi «attraverso» il libro, in una vita che attraverso il libro trova una guida: una questione di interpretazione, di uso, di applicazione della lettura alle forme individuali. Il concetto estetico di «comportamento» permette allora di tenere insieme una fenomenologia dell’esperienza delle opere e una pragmatica del rapporto con noi stessi, perché è proprio ciò che appartiene all’esperienza della lettura che può avere un futuro nella grammatica dell’esistenza.

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Consideriamo allora la lettura come un esempio di comportamento estetico integrato che si dispiega lungo un arco esistenziale completo. Integrato, ovvero non isolato dagli altri momenti di un’estetica della vita quotidiana, da tutti gli altri comportament che vi si trovano messi in gioco. Lontano dai modelli semiotici o narrativi (che tendono a descrivere la pratica della lettura come un’operazione ripiegata su se stessa, tanto valorizzata quanto distaccata, e che faticano quindi a far entraredopo la lettura nella vita), l’esperienza letteraria si allinea così alle altre arti e a tutti i momenti pratici delle nostre vite ai quali essa è concretamente collegata. Un comportamento così ampio messo in gioco presuppone di riscrivere la lettura all’interno di una più vasta «stilistica dell’esistenza», secondo l’espressione seducente ed enigmatica di Foucault. La nostra vita mentale e la nostra vita sociale sono in effetti intessute di «tracce» d’arte e di «intenzioni» d’arte, di ricordi efficaci e di desideri efficaci, che esercitano la loro forza plastica sulle situazioni o sui dispositivi della vita quotidiana e che modulano le disposizioni del nostro essere, le forme della nostra percezione, della nostra attenzione o della nostra visione del mondo.

La questione può trasformarsi in quella nietzschiana e pragmatica della quantità di «arte» che mettiamo nella nostra vita, della fluidità o dell’audacia con le quali ci muoviamo tra le forme e i modelli; ma può anche mettersi in gioco negli aspetti meno spettacolari del rapporto con noi stessi e con le configurazioni collettive. Questa messa in opera di forze e di disposizioni è il problema moderno per eccellenza. Foucault, così come Deleuze, ha collocato questa tendenza al centro dei processi di soggettivazione; questo mi autorizza a considerare l’esperienza della letteratura come la porta d’ingresso ad autentiche «forme di vita». Ecco cosa dovremmo capire: il modo in cui lettori diversamente situati sono portati a considerare i testi come campioni di esistenza, la maniera in cui li utilizzano come veri e propri modi di comportarsi nella vita. «La lettura è questo: riscrivere il testo dell’opera direttamente nel testo della nostra vita», scriveva Barthes con una formula che cerca ancora spiegazioni. Parlare di forme di vita, poi, è esagerato; sarebbe meglio dare a questo concetto un contenutomolto più preciso (meno compiacente) di quanto non lo sia in molti slogan attuali, quando invece gli enunciati intimidatori della pubblicità o della stessa arte contemporanea sfidano i soggetti a «dare una forma» alla loro vita e a trattare se stessi come «opere».

L’orizzonte di una stilistica dell’esistenza è tuttavia la cosa più condivisa del mondo; non ha nulla di straordinario o di snob, ma si colloca nelle regioni più comuni dei nostri comportamenti. Ognuno ha infatti la responsabilità, ma allo stesso tempo la fortuna, di dare una forma alla propria presenza, di occupare a modo suo, in modo del tutto personale, delle posizioni condivise da tutti, di forgiare i propri movimenti, i propri atti esteriori o i propri pensieri segreti, di accettare dei modelli o di costruirne di nuovi. Balzac, nella sua Teoria del camminare (1833), era stato il primo a mostrarsi sensibile al modo in cui l’uomo moderno, privato di una definizione sostanziale di sé e della sicurezza del proprio posto, deve rispondere all’ingiunzione di una creatività diffusa e rischiare in ogni gesto un’idea particolare di sé, sfumando ciò che esterna e condivide con tutti, fin dal primo «passo»: cos’è il modo di camminare, se non un «ricco linguaggio nei suoi effetti immediati di una volontà tradotta con innocenza!

L’inclinazione più o meno evidente di uno dei nostri arti; la forma più semplice a cui ha fatto l’abitudine, malgrado noi stessi; l’angolo o il contorno che gli facciamo descrivere sono impronte del nostro volere e hanno un incredibile significato. È molto di più della parola: è il pensiero in azione». Come quando facciamo il primo passo, con la consapevolezza che ci stiamo mettendo in gioco (e ci piace metterci in gioco), nella sfumatura di un gesto comune, ma reinventato continuamente, mettiamo a rischio con le nostre letture, qualcosa della nostra responsabilità di esistere, delle modalità e delle forme che danno una struttura al nostro modo di vivere […].

Stilizzando un’esperienza di stile, manifestando il modo in cui delle opere sono tracimate in una vita reale, testi molto diversi non descrivono solo dei momenti estetici, ma rilanciano soprattutto un percorso d’individuazione nei loro incontri effettivi con le forme.

Se proviamo a osservarlo a lungo, un individuo tende sempre ad aprire una finestra su altri individui che mettono in atto comportamenti simili, stili di essere paragonabili, ma configurati in maniera necessariamente differente; il loro modo di comportarsi nei confronti delle opere letterarie potrà unire i lettori come un’aria di famiglia, ma ognuno sarà sempre solo nel momento di dover mettere in gioco quella particolare sfumatura della propria individualità.

Leggendo gli stessi libri, condividendo a volte gli stessi codici, scambiandosi i gusti, o imitandosi gli uni con gli altri, non affrontano la stessa domanda, né la stessa parte di loro stessi (né lo stesso modo di entrare, per esempio, in conflitto con se stessi).

Nessuna di queste sfumature può essere considerata una caratteristica secondaria: è il motore e il significato di una stilistica dell’esistenza”.

Marielle Macé

Fonte: Marielle Macé, Inizio dell’introduzione a La lettura nella vita. Modi di essere, modi di leggere,  in  QdR 4/Didattica e Letteratura. Traduzione italiana di Marina Cavarretta. Leggi introduzione completa, indice e note qui. Collana Diretta da  Natascia Tonelli e Simone Giusti, Loescher  Editore , Torino, 2016.  Link all’Acquisto online qui. I QdR sono ordinabili in tutte le librerie (anche online) d’Italia; i docenti possono richiederli agli agenti Loescher di zona, link qui.

Fotografia: Bernardo Ricci Armani, At Castellabate Outside the Basilica, PhotographingAround.me

Marielle Macé, vicedirettore del CRAL, specialista in letteratura francese moderna, insegna letteratura francese e pensiero letterario all’EHESS, all’École normale supérieure, ed è visiting professor alla New York University. Tra i suoi lavori l’opera Le temps de l’essai (Belin, 2006).

QdR Didattica e letteratura (http://www.laricerca.loescher.it/quaderni/qdr.html) è una collana di Loescher Editore diretta da Natascia Tonelli  e Simone Giusti. Il progetto nasce per colmare un vuoto e creare un punto di riferimento per coloro che, nel mondo della scuola e dell’università, sono interessati ad approfondire i problemi dell’insegnamento letterario e degli apprendimenti correlati alla fruizione della letteratura.

“La ricerca” è una testata indipendente, distribuita nelle scuole secondarie di primo e secondo grado e consultabile gratuitamente sul sito www.laricerca.loescher.it. Dopo anni di sospensione, “La ricerca” rinasce nell’aprile 2012 con l’obiettivo di creare uno strumento capace di offrire alla casa editrice e ai suoi autori l’occasione di continuare il dialogo culturale, didattico ed educativo avviato dalla progettazione dei libri di testo, oltre che interloquire direttamente con il proprio pubblico, fatto di professionisti esigenti, ma anche di studenti e genitori, dis- ponibili al confronto. Il sito della testata contiene, oltre alla rivista cartacea scaricabile, un aggiornamento quotidiano di articoli di attualità, istruzione, cultura; la sezione “Scritto da voi”; un’area dedicata alle normative riguardanti l’istruzione; e le due collane di Quaderni della Ricerca, numeri monografici destinati all’approfondimento disciplinare, didattico, culturale.

Loescher Editore (www.loescher.it) è una storica casa editrice italiana, nata a Torino nel 1861, specializzata nella pubblicazione di libri di testo per la scuola secondaria di primo e secondo grado. Si occupa inoltre di Italiano per stranieri, istruzione degli adulti e della promozione e distribuzione, in esclusiva per l’Italia, dei testi Cambridge University Press, Helbling Languages e Clé International. Il catalogo Loescher com- prende i marchi D’Anna, Bonacci, Alfa e gli audiolibri Emons. Loescher Editore – Divisione di Zanichelli Editore.

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