Pubblicato il 16 Aprile 2021

La perduta via dell’equilibrio dei popoli amazzonici

di Melissa Pignatelli

In Amazzonia vivono “i popoli dell’Anaconda”: così si chiamavano i Cofàn, i Tukano, i Taiwano, i Macu, i Karijona, i Barasana, i Witoto, i Puinave, i Kubeo e tutte le altre tribù che popolavano l’amazzonia Colombiana, erano dei gruppi sociali che credevano che l’Anaconda, i fiumi e la Via Lattea, erano ognuno la rappresentazione dell’altro in una dimensione diversa. Ogni cosa che componeva il quotidiano era riflessa da un’altra parte dell’ecosistema.

Per esempio, la casa, la maloca, il rifugio universale, che ospitava gran parte dell’attività umana dei popoli dell’Anaconda, era costruita sul modello del cosmo. Il tetto era il cielo e i muri le montagne che lo sorreggevano. Il pavimento, la terra e i pali della struttura erano gli antenati mitici. Le case erano spesso erette vicino al fiume, dal quale provenivano tutti gli esseri viventi e sul quale tutti ripartivano. I morti erano sepolti sotto il pavimento della maloca dove un fiume sotterraneo li portava nell’aldilà, cioè non così lontano da dove erano sempre vissuti.

Al di fuori della casa e dal suo ordine giacevano gli animali dove il giaguaro regnava sovrano, copulando e mangiando senza ritegno. I popoli dell’Anaconda cercavano di comprendere la loro esistenza in maniera armonica, mettendola in relazione con il resto della natura.

I segreti riguardavano le piante, gli uomini e gli animali ma parlavano di stelle e di vie, suggerivano un modo per mantenere tutto come in un accordo sinfonico per curarsi a vicenda, per non dimenticarsi che ognuno aveva bisogno dell’altro. Era la via dell’equilibrio. La via dove tutto si reggeva, si generava e si rigenerava in maniera osmotica e placida.

Schultes scese dal barcone in terra Tukano. La Serra Tukano era una vasta zona amazzonica con una montagna granitica che sorgeva in un punto alto dell’orizzonte e che sembrava proteggere le attività sottostanti. Il villaggio era all’interno della giungla, e ci si accedeva da un sentiero di terra rossa che dalla spiaggia di sabbia bianca lungo il fiume conduceva verso l’interno. I Tukano, un’altra tribù dei popoli dell’Anaconda, accolse Schultes semplicemente. Come tanti indios amazzonici, i Tukano vivevano attorno alla grande maloca decorata con disegni geometrici, coltivavano gli orti di tabacco, coca e yucca, raccoglievano piante selvatiche e andavano a caccia.

Nei popoli dell’Anaconda le donne avevano un ruolo fondamentale, anche se defilato e in apparenza concentrato essenzialmente sulla coltura della yucca e la produzione di pane di cassava, una procedura lunghissima, fatta di battitura e doppia fermentazione della farina di yucca, una pianta sacra. Le donne erano un perno fondamentale nella costruzione e nella riproduzione del quotidiano fisico e sociale, perché la sensualità e l’intimità della coppia era un riflesso della simbiosi tra l’uomo e la natura.

Le serate passavano nella maloca, a raccontare imprese di caccia e vecchie leggende. Gli uomini si mettevano in cerchio mentre le donne continuavano a prendersi cura dei bambini piccoli o della lievitazione del pane, ascoltando anche loro.

Gli sciamani accudivano e che curavano attraverso le rivelazioni delle piante sacre. Le preparazioni narcotiche o magiche erano anche delle preparazioni medicinali rituali e ai malati venivano somministrate le piante che provocavano visioni, sia per i loro principi curativi effettivi che per le visioni che li guidavano fuori dalla malattia.

L’ayahuasca e lo yagé erano bevande divine che permettevano di liberare l’anima dai suoi confini e di volare liberamente oltre tutto, guidandola verso il suo compimento. L’anima emancipava così il suo custode dalla realtà della vita quotidiana rilasciandolo in un etere incorporeo dove vedeva la via della soluzione.

Nel caso di malati che assumevano yagé, alla preparazione potevano essere aggiunte altre piante per favorire la guarigione da altri problemi come reumatismi, problemi intestinali, sessuali o spirituali. Era il compito dello sciamano identificare il problema e connettere i sintomi in modo tale da trovare il rimedio più adatto. Tutti i livelli dell’individuo venivano considerati, e non si isolava un problema di una singola parte del corpo ma si curava l’essere nella sua totalità. Inoltre, essendo il corpo del malato anche una parte del corpo tribale, lo sciamano si prodigava per capire quali erano le connessioni tra la persona e il gruppo.

La capacità dello sciamano di interpretare i sintomi e di metterli in relazione con un problema e la sua soluzione, erano doti che egli doveva acquisire sin da piccolo. La sua sensibilità era la garanzia della curabilità della comunità. Questo era il motivo per il quale la somministrazione di una medicina non avveniva in maniera isolata, ma era inserita in un rituale dove la persona malata era curata come parte integrante del gruppo, del luogo, del momento spirituale collettivo. In nessun momento, l’isolamento della persona era percepito come necessario o benefico, né per chi voleva guarire, né per la comunità. Il male, come il malato, erano parte di un tutto infinitamente più grande, ed era compito dello sciamano rimettere in equilibrio quelle parti che vacillavano ed avevano bisogno di aiuto.

Così la società, le piante, gli animali, l’acqua dei fiumi, la conoscenza divina e terrena erano interconnesse nelle conoscenze e nelle capacità dello sciamano che, aiutato dalle piante sacre, vegliava al benessere psichico, fisico e spirituale delle persone che gli era stato dato di guidare in un certo luogo della foresta, vicino all’acqua.

Melissa Pignatelli

Fotografia: Richard Evans Schultes con i Maku. Schultes fu il primo ricercatore etnobotanico di Harvard che  visse con le tribù dell’Amazzonia colombiana per cercare i semi degli alberi della gomma. Fonte e biografia: Nash Library Harvard, link qui.

Bibliografia:

Davis, W., 2004 The Lost Amazon: The Photographic Journey of Richard Evans Schultes, Thames e Hudson, London.

Goldman, I., 1980, Reflections of Nature in Vaupes Cultures, in American Ethnologist.

Jackson, J. Preserving Indian Culture: Shaman Schools and Ethnoeducation in the Vaupès, in Cultural Anthropology.

Hugh-Jones, C., 1979, From the Milk River, Spatial and Temporal Processes in Northwest Amazon, Cambridge University Press, New York.

Hugh-Jones, S., 1979, The Palm and the Pleiads: Initiation and Cosmology in Northwest Amazon, Cambridge University Press, New York.

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