Pubblicato il 2 Maggio 2018

Vivere insieme nella diversità: il tunnel dal quale manca il progetto politico per uscire

di Vincenzo Matera

non appartenenza incertezza etnoantropologia analisi approfondimento cultura

Quali sono le condizioni che producono, in alcuni contesti sociali – urbani e non – il senso di non-appartenenza, ovvero il contrario di quella sorta di “sentirsi a casa” che è premessa e risultato di relazioni sociali costruttive e improntate alla gestione dell’incertezza del futuro e che sortiscono effetti contrari di violenza, o di fondamentalismo?

Oltre la risposta immediata, soggettiva (esclusione, discriminazione, marginalizzazione, sfruttamento, umiliazione, delusione, insoddisfazione, ambizione…), riflesso di tratti sociali, economici, politici oggettivi (recessione e disoccupazione, per esempio), ritengo ci sia altro (espropriazione della capacità di agency che ciascuno vorrebbe per sé). Quindi, provo a mettere a fuoco questo “residuo”, che si condensa a costituire nelle persone una sorta di perenne conflitto o intreccio fra spinte centripete (locali) e centrifughe (globali), seguendo un altro indizio, i fatti accaduti a Colonia la notte del 31 dicembre 2016.

È noto che la notte di Capodanno è una notte fuori dall’ordinario. Anche ai più morigerati può capitare, nella cornice straordinaria dell’ultimo dell’anno, di fare uno strappo alla regola. La percentuale di persone ubriache, o almeno alterate dall’alcol, quella notte, è molto alta, in tutto il mondo occidentale, ma non solo. Stappare la bottiglia è, del resto, il simbolo della festa del 31 dicembre. Si beve, a Capodanno, si alza il gomito, e tutto ciò che ci circonda sembra spingere alla frenesia del dover festeggiare, nella direzione di un superamento delle condotte normali, regolate e ordinarie. Si attua, quella notte, una socializzazione dell’eccesso. Si potrebbe aprire qui una linea di approfondimento estremamente complessa che a partire dalla dimensione orgiastica delle feste, sul piano alimentare – e anche sessuale arriverebbe fino alla Xenia dionisiaca, possibilità che qui ovviamente non può che restare al condizionale, e che comunque indica il legame soggiacente alle mie tracce, quella disgregazione in atto di un assetto sociale, premessa dell’affermarsi del paradigma dell’incertezza.

Sta di fatto che, come tutte le condizioni sociali fuori dall’ordinario, la notte dell’ultimo dell’anno è una cornice in cui i ruoli, i modelli appropriati di azione e di relazione possono saltare. Anzi, di fatto, saltano nella semplice e innocente condotta all’insegna della familiarità verso perfetti sconosciuti che nelle piazze e nelle strade cittadine – il Capodanno si festeggia fuori, all’aperto – può spingere persone che non si conoscono a scambiarsi gli auguri, persone che in circostanze normali certo non si sarebbero scambiate la parola né il saluto, né altre forme di reciproco riconoscimento.

In particolare, se pensiamo alla condizione di persone che conducono esistenze ai margini, si può immaginare che una cornice come quella della festa di Capodanno, una socializzazione dell’eccesso, appunto, spinga il passaggio da una cappa di silenzio, di paura, di controllo, di esclusione a un’esplosione di parole e azioni, anche aggressive.

Vale a dire, una cornice sociale eccezionale può indurre a rompere le convenzioni che regolano l’entrare in relazione, specie in soggetti che non le conoscono, perché provenienti da altri contesti.

Lo schiamazzo, il vandalismo, e finanche l’aggressione verbale e fisica possono essere un distorto riprendersi la propria capacità di agire, da parte di chi si sente vittima di un’espropriazione subita, di uno spodestamento della propria voce, del proprio corpo.

I fatti accaduti a Colonia la notte del 31 dicembre appaiono allora una conseguenza del “non assetto sociale” – dell’indeterminatezza – che segna l’esistenza di persone in fuga e ai margini, ammantate di una condizione anomala di liberazione e di un frainteso senso di libertà che, unito alla socializzazione dell’eccesso che caratterizza la cornice di fine anno, ha indotto una moltitudine di soggetti (maschi) a ritenersi liberi dall’autorità di controllo e a indirizzare la loro volontà di esistere verso il principale oggetto di desiderio (le donne), come se fosse (o forse proprio perché è) venuto meno ogni apparato (politico o sociale) di gestione delle loro vite, dei loro corpi, delle loro forme di espressione, della loro parola, delle loro azioni. Il numero altissimo degli aggressori e l’impotenza delle forze di polizia, ignorate e finanche sbeffeggiate, attestano il carattere sociale dell’aggressione, e non sono un bel segnale.

Di certo le responsabilità, secondo i principi delle democrazie occidentali, sono individuali; tuttavia non andrebbero sottovalutati i rischi e le possibili conseguenze sulla vita di tutti che possono derivare da una condizione esistenziale sospesa, indeterminata, all’insegna della più totale incertezza, come quella delle centinaia di migliaia di persone che trovano “ospitalità” e asilo in Europa. Ospitalità e asilo non si possono negare. Qui si cela la maggiore responsabilità della politica, costruire un progetto che orienti il vivere insieme ormai inevitabile del mondo contemporaneo, creando le condizioni per il recupero della capacità culturale di pensare il futuro.

Vincenzo Matera

Questo capitolo è il quarto di cinque capitoli dell’articolo completo che trovate qui: MATERA, Vincenzo. Etnografia dell’incertezza: l’incapacità di pensare il futuro come assenza (culturale). EtnoAntropologia, [S.l.], v. 5, n. 1, p. 7-20, lug. 2017. ISSN 2284-0176. Licenza: CC By.

I capitoli successivi verranno pubblicati ogni settimana per 5 settimane.

Il primo capitolo “Orientamento e disorientamento, l’appartenenza e l’incertezza nelle società contemporanee” è disponibile qui.

Il secondo capitolo “Ordine, direzione e stabilità nell’Età dell’Incertezza” è disponibile qui.

Il terzo capitolo “Il paradigma dell’incertezza” è disponibile qui.

Il quarto capitolo “Vivere insieme nella diversità: il tunnel dal quale manca il progetto politico per uscire” è disponibile qui.

Il quinto capitolo “L’ospitalità, un valore che sta scomparendo” è disponibile qui.

In fotografia The Spinning Staircase at Grand Hyatt Hotel Shanghai, Cina, 2012 di Bernardo Ricci Armani. Photographingaround.me

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