Pubblicato il 7 Aprile 2024

Quando in Iran brillava la stella di Avicenna, principe della Medicina

di Melissa Pignatelli

“Nel nome di Dio e gloria a Lui: al suo messaggero la preghiera e la salvezza” così inizia il Canone della Medicina un testo fondamentale per la medicina scritto da Avicenna, meglio noto in Medio Oriente come Alì Sina. Nato nel 980 nei pressi di Bukhara, importante città carovaniera dell’Asia centrale e capitale dell’impero persiano dei Samanidi, Avicenna fu uno dei più grandi scienziati della storia, prescrivendo  cure innovative, interpretando segni delle malattie, ascoltando le storie delle persone per curarle e inventandosi tecniche salvavita importanti come la tracheotomia.

Il testo sulla medicina di Avicenna giunse in Occidente attraverso Venezia dove l’editore Luc’Antonio Giunta pubblicò nel 1523 l’opera tradotta in latino dall’arabo prima da vari eruditi, poi da Andrea Alpago e in seguito da suo nipote Paolo. Il testo integrale composto da cinque volumi rimase a lungo come uno dei testi principali per la medicina. Nel Canone della Medicina Avicenna riunì tutto il sapere medico del suo tempo, giunto dalla Cina all’India alla Grecia, riunendo tecniche e riflessioni sulla malattia e il disagio che mantengono una certa forza e una certa influenza fino ai nostri giorni, ad esempio nel modo di cucinare per preservare la salute (Avicenna’s cuisine di Samira Ardalan, Kazi Publications) .

Andrea Alpago. Affesco di G. Denim (XIX secolo) nella sala del Municipio di Belluno inl Canone di Avicenna fra Europa e Oriente nel primo Cinquecento. L’interpretazio Arabicorum nominum di Andrea Alpago, a cura di Giorgio Vercellin, UTET, 1991

“Pur se di cultura iranica (la lingua che parlavano era il persiano), gli abitanti di queste terre, convertiti all’Islam a partire dall’Ottavo secolo, erano parte integrante del vasto mondo musulmano che a quell’epoca si estendeva ormai dall’Atlantico ai confini della Cina. In conseguenza di ciò la lingua della cultura e delle scienze anche a Bukhara era l’arabo, ed è appunto in tale idioma che Avicenna scrisse quasi tutte le opere composte durante i suoi viaggi per le terre islamiche, fino alla morte avvenuta nel 1037 a Hamedān.

Impegnato in prima persona nella gestione amministrativa e politica per conto di diversi sovrani (tanto che a un certo punto venne perfino sospettato di tradimento e imprigionato) e attivo nella pratica medica, ciò che maggiormente caratterizza Avicenna era forse la memoria prodigiosa  intrecciata a una grande libertà di pensiero. Queste qualità, unite a una straordinaria capacità lavorativa, gli permisero di comporre opere fondamentali per la storia della cultura: George Anawati ne suddivide la produzione che comprende 276 titoli inclusi gli scritti incerti e apocrifi, secondo i seguenti settori: filosofia generale, logica, linguistica, poesia, fisica, psicologia, medicina, chimica, matematica, musica astronomia, metafisica, esegesi del Corano, mistica, morale, economia domestica, politica, profezia, epistolografia e varia.

Ma il ruolo decisivo di Avicenna nella storia della cultura non risiede tanto nella quantità delle sue opere: ben più cruciale è stato il suo collocarsi come uno dei punti culminanti della rielaborazione  della scienza greca da parte del mondo musulmano e – di conseguenza –  come strumento della successiva trasmissione della scienza al mondo cristiano medioevale.

E’ fin troppo noto come infatti come sia stata proprio la traduzione in latino dei pensatori e degli scienziati musulmani a dare avvio alla rinascita dell’Europa meridionale dopo il periodo di stasi seguito al crollo dell’impero romano e delle invasioni barbariche.

Bisogna però tenere bene a mente che quest’attività, sviluppatasi nella Sicilia normanna e soprattutto nella Spagna, dove convissero fino al XV secolo Musulmani, Cristiani e Ebrei, non solo permise ai dotti occidentali di riscoprire le fonti greche, ma li mise soprattutto in contatto con le rielaborazioni dei loro corrispettivi islamici. Non si trattò cioè da parte degli Arabi di una pura e semplice trasmissione passiva (come talora si tenderebbe superficialmente a ritenere), bensì di produzioni originali: basti riflettere sul contenuto del pensiero  cosiddetto averroista e sul ruolo che esso svolse nelle Università di tutt’Europa.”

A diciotto anni, Avicenna era già il medico più conosciuto della Persia, in parte corrispondente all’Iran di oggi. Sfruttò le ricchezze dei regnanti per avere accesso alle loro biblioteche per continuare a studiare ed espandere il suo sapere. Il suo nome riecheggiava tanto nei palazzi quanto nei borghi periferici. Fu proprio tra questi due estremi che Avicenna, “il principe della Medicina” come lo soprannominarono, viaggiò per tutta la sua vita curando i malati e assistendo gli indigenti, nel nome della carità islamica.

Il suo viaggio all’interno di società strettamente intrecciate: persiani, arabi, turchi e curdi disegnano i confini di questo universo in continuo contrasto tra Samanidi e Buyidi, che si conclude con l’arrivo dei Gaznavidi, i conquistatori turchi. Un incontro di culture che si ritrova nelle descrizioni del romanzo sulla vita di Avicenna La via per Isfahan (Neri Pozza editore), solo velatamente orientaleggianti, della confusione dei caravanserragli e dei mercati, dei profumi delle città, delle bellezze lussureggianti delle oasi, delle loro architetture, del fascino rude del deserto e delle battaglie che vi sono state combattute.

Un viaggio verso una città, Isfahan, che diventa una metafora della vita. Si raggiunge o non si raggiunge ciò che ci si prefigge, si naviga tra molti scogli, si soccombe ai tradimenti ma ci si ricostruisce.

E si lascia sempre una traccia.

Melissa Pignatelli

Immagine: Frontespizio dell’edizione giuntina nel 1608 del Canone di Avicenna (p.12), in fonte seguente:

Fonte citata: Il Canone di Avicenna fra Europa e Oriente nel primo Cinquecento. L’interpretazio Arabicorum nominum di Andrea Alpago, a cura di Giorgio Vercellin, UTET, 1991

La via per Isfahan, Gilbert Sinoué, Neri Pozza Editore, 2001

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