Pubblicato il 3 Settembre 2018

Per un’antropologia rilevante

di Vincenzo Matera

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Normalmente gli antropologi sono modestamente presenti nella sfera pubblica, ma la disciplina è oggi fondamentale per capire come e perché cambiano gli equilibri locali e globali. Come può l’antropologia farsi ascoltare e raggiungere fasce sempre più ampie della pubblica opinione? Quale atteggiamento adottare nei confronti dei grandi scenari sui possibili futuri del mondo che si svolgono sotto i nostri occhi, per strada, sulla stampa e in televisione soprattutto?

Mi riferisco per esempio al macrodiscorso economico, alle catastrofiche narrazioni della crisi, della recessione, della disoccupazione; mi riferisco al macrodiscorso ambientale, all’inquinamento atmosferico e alla contaminazione dei cibi, al buco dell’ozono e al surriscaldamento del pianeta, la terrorismo globale. Oppure alla varie forme di esclusione e discriminazione sociale, come le retoriche su immigrazione e criminalità, su temi come l’aborto o il matrimonio omosessuale, o la fecondazione artificiale, sui temi di bioetica, sulla “guerra giusta”,  sulle “missioni di pace”, e tanti altri argomenti rilevanti del dibattito pubblico contemporaneo. Contribuire a una comprensione più critica, più profonda, non potrebbe essere uno dei compiti che costituiscono il senso e la rilevanza dell’antropologia contemporanea? A maggior ragione se pensiamo al fatto che molti nostri colleghi, economisti e sociologi, per esempio, più che dare contributi alla consapevolezza critica di chi li ascolta, spesso svolgono opera di indottrinamento puro e semplice, con l’esito di consolidare gli scenari egemonici invece di smontarli.

Se accogliamo l’idea di un’antropologia non più e non tanto come sapere scientifico (con tutto ciò che questa concezione comporta in termini di specializzazione e di specialismo, di ristrettezza dei circuiti di diffusione, di confinamento nelle università e nei centri di ricerca) quanto sempre di più come tentativo di costruire un discorso che estenda l’immaginario della società in cui agisce (con tutto ciò che questa concezione offre in termini di ampiezza del pubblico raggiunto, di efficacia delle immagini costruite, di superamento di stereotipi e pregiudizi), ne consegue l’obbligo di scendere al livello della sfera pubblica con la massima incisività possibile.

Un antropologo può avere qualcosa in più da dire su un certo evento o su un certo luogo: non sempre, in tanti casi ne sappiamo quanto gli altri; tuttavia il problema è che questa eventuale competenza in più, non si confeziona mai in modo efficace. Anche perché sembra che gli antropologi interagiscano troppo poco con i macroscenari nazionali e internazionali e con il flusso di notizie che circola nei media. E qui torna una vecchia questione, quella relativa allo stile di scrittura che, nonostante le sperimentazioni e i tentativi di diversificare, non ha ancora la capacità di raggiungere il grande pubblico. Il potere delle nostre rappresentazioni di cui ci siamo tanto preoccupati, non è cambiato molto.

Naturalmente non è una “antropologia popolare” ciò che mi interessa, un punto questo legato all’immagine degli antropologi che continua a essere dominante e diffusa: esperti dell’evoluzione o delle origini dell’essere umano, qualcosa di più di viaggiatori esperti della “cultura” di un popolo, capaci di stupirci con immagini inconsuete ed esotiche.

Un vecchio stereotipo che serra la gabbia intellettuale in cui siamo ancora oggi chiusi, dalla quale sarebbe necessario uscire per allargare la presa del discorso antropologico in modo che possa ultimente contribuire alla costruzione della sfera pubblica nazionale e internazionale. Con buona pace dei difensori di un’ortodossia antropologica che a me appare, per le ragioni di cui sopra, anacronistica.

Come intendo allora l’antropologia? La riposta è semplice: come analisi critica della realtà attuale. Condotta certo anche attraverso il passato, per esempio il passato coloniale. Fare analisi critica della realtà, dunque, studiare le condizioni della produzione culturale proprie di un certo contesto in un certo periodo e gli effetti che la produzione di certi significati culturali sortisce in termini di orientamenti dominanti.

Un’antropologia attuale e rilevante, quindi, che implica e deriva da un ripensamento dell’assetto della disciplina.

Vincenzo Matera

In fotografia: The Rise of African Fashion.

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