Pubblicato il 17 Settembre 2018
Come diventare un antropologo praticante
di Barbara Palla
Per lungo tempo gli antropologi accademici hanno guardato con diffidenza coloro che praticavano la disciplina all’infuori dell’Università. Tra i numerosi corsi di studio, come sostiene Riall Nolan, Professore di Antropologia all’Università di Purdue (Stati Uniti), nel suo libro Using Anthropology in the World, A Guide to Becoming an Anthropologist Practicioner (Usare l’Antropologia nel Mondo, Guida per diventare un antropologo praticante), pochi si sono concentrati sul formare o avviare adeguatamente gli studenti alla carriera applicata ad altri campi oltre la ricerca universitaria. Per rendere, però, l’antropologia uno strumento rilevante del sapere è necessario spingersi fuori “dal seminato”, coinvolgersi sfruttando il bagaglio teorico-scientifico acquisito per approfondire e interpretare le sfide della contemporaneità.
Lo studioso coinvolto, grazie agli strumenti e ai metodi specifici della disciplina, primo tra tutti l’etnografia, può restituire un quadro interpretativo dei numerosi aspetti della realtà e dei suoi cambiamenti. Infatti, per il lavoro antropologico applicato, “l’etnografia è al contempo un metodo e un prodotto di una scoperta che ha numerose qualità. L’etnografia può illuminare aree del sapere che sono incomplete, poco chiare o contraddittorie. Aiuta ad identificare gli aspetti chiave di una situazione, o gli attori chiave, insieme ai principi e i fattori che vengono usati da quegli stessi attori per rispondere agli eventi o le opportunità. L’etnografia è particolarmente utile per correggere le incomprensioni, le rappresentazioni scorrette, o le caratterizzazioni errate di una situazione. Infine, ovviamente, l’etnografia pone le basi per studi qualitativi e quantitativi molto dettagliati di aspetti specifici di una determinata situazione.”
Così, l’antropologia può essere “una lente utile ed efficace per guardare nei mondi culturali degli altri, per capirne la struttura e i fondamenti logici nei e con i loro metodi”. Ma non solo, se si accetta che le differenze culturali che si indagano, “non sono né triviali né temporanee, diventa dunque fondamentale capire come si incrociano e interagiscono”. I benefici del lavoro antropologico applicato sono quindi importanti per comprendere le interconnessioni di mondi diversi, ma al contempo permettono di capire come questi stessi mondi plasmano quello a cui si appartiene, soprattutto nel lungo periodo.
Così quindi l’antropologo coinvolto può andare al cuore delle complessità e delle questioni reali e contemporanee, ma allo stesso tempo partecipare al rinnovamento della disciplina, arricchendola degli elementi che studia, spiega e vive all’infuori dei confini accademici. L’antropologia diventa, secondo questa visione, utile e rilevante nel momento in cui si apre a nuovi settori e partecipa alla diffusione del nuovo sapere anche al di fuori dei canali universitari, direttamente nelle realtà in cui è coinvolta e applicata.
Per rispondere dunque alle nuove domande e nuove esigenze di comprensione degli scenari contemporanei in costante cambiamento, un numero crescente di antropologi dovrebbe forse cogliere quell’invito a diventare un praticante.
Barbara Palla
In fotografia: Great Market Hall, Bernardo Ricci Armani, Budapest, Ungheria, 2011.