Pubblicato il 8 Novembre 2019

Il ritorno allo stato selvaggio, un esempio letterario

di Melissa Pignatelli

Il Signore delle Mosche è un romanzo scritto nel 1952 da William Golding autore britannico insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1983; rileggendo il romanzo oggi ritroviamo delle tanto interessanti quanto inquietanti dinamiche sociali. Nel romanzo, un gruppo di bambini e ragazzini sopravvive ad un disastro aereo ritrovandosi a vivere su un’isola deserta; i più piccini si radunano intorno a Ralph, il primo ad avere la presenza di spirito di usare il suono di una conchiglia per richiamare tutti i sopravvissuti e di accendere un fuoco per segnalare la presenza alle navi di passaggio. Ma dalla civiltà educata, il gruppo tornerà inesorabilmente verso la barbarie, l’incuria umana, il degrado morale ed ambientale; in due parole: verso una barbara inciviltà.

All’inizio il gruppo si reputa fortunato di essere capitato su un’isola accogliente, sulla quale c’è acqua potabile, maiali commestibili ed una vegetazione ricca e rigogliosa: i naufraghi pensano di organizzarsi come per una piacevole vacanza. Del resto sono tutti ragazzini piuttosto borghesi, alunni di una buona scuola inglese, che hanno ricevuto le basi per una socializzazione “civile”: devono solo aspettare e vincere la paura della notte.

Ma ben presto la facilità della sopravvivenza, scoglio primario nella vita di ogni essere umano, rende (evidentemente) il quotidiano troppo scontato; nascono i primi dubbi sulle regole comuni e le prime rivalità. Tra i ragazzini nascono due clan: uno fa a capo a Ralph, quello pronto e reattivo, e l’altro a Jack, un preadolescente invidioso e divertito dalla violenza. In un crescendo nel quale si vedono sgretolarsi ogni regola civile, ogni modo calmo di convivere e l’inselvatichirsi ingiustificato dei rapporti umani, i ragazzini finiscono per soccombere alla strafottenza del comando di Jack. Il gruppo è coeso dalla paura e dalle minacce: nessuno osa dire nulla al sanguinario e crudele ragazzino. Dalla violenza verbale il capo ordina quella fisica, non sopporta i difetti delle persone, deride, fa subire la tortura e finisce per ordinare una caccia all’uomo per eliminare definitivamente il suo rivale.

In una delle fasi culminanti Jack ha la meglio. Due gemelli originariamente fedeli ammiratori e parte del clan di Ralph lo trovano in un nascondiglio ed avviene lo scambio seguente:

«Dunque… che cosa…»
I due gemelli gli risposero indirettamente.
«Adesso te ne devi andare, Ralph.»

«Per il tuo bene.»
«Sta’ lontano. Più lontano che puoi.»
«Non volete venire con me? In tre… avremmo delle probabilità.»
Dopo un momento di silenzio, Sam parlò con voce strozzata.
«Tu non conosci Ruggero. È una belva.»
«… e il capo… Son tutti e due…»
«… belve…»
«… ma Ruggero…»
I due ragazzi si fecero di ghiaccio. Qualcuno della tribù saliva da loro.
«Viene a vedere se facciamo buona guardia. Svelto, Ralph!»
Mentre si preparava a scender giù per il precipizio, Ralph si aggrappò all’ultima speranza che quell’incontro gli poteva offrire.
«Mi nasconderò qui vicino; in quella macchia lì sotto,» sussurrò, «dunque teneteli lontani. Non andranno mai a cercare così vicino…» I passi erano ancora a una certa distanza.
«Sam… me la caverò, no?»
I due gemelli tacquero di nuovo.

«To’!» disse Sam improvvisamente. «Prendi questo…»
Ralph si sentì tra le mani un pezzo di carne e l’afferrò.
«Ma che cosa mi farete quando mi prendete?»
Silenzio, di sopra. Si accorgeva da solo, di esser sciocco. Si calò giù.

«Che cosa mi farete?…»

Dall’alto della roccia gigantesca venne una risposta incomprensibile:
«Ruggero ha preparato un bastone con la punta da tutte e due le parti.»
Un bastone con la punta da tutte e due le parti.

Ralph cercò di dare un significato a quelle parole ma non ci riuscì.

Nel romanzo di Golding, come in altri esercizi letterari, l’autore fa emergere come in un gruppo umano ci sia un ritorno allo stato di natura al quale neanche i bambini riescono a resistere: ritorna la violenza, l’odio, l’intolleranza, emerge la cattiveria e la natura predatrice dell’uomo. Sparisce la pietà, la collaborazione, l’empatia, il dialogo.

Nel finale, il gruppo volge all’autodistruzione totale con l’ultima trovata di Jack per stanare Ralph: distruggere l’ambiente comune dando fuoco all’intera isola (anche se poi il romanzo non finisce così).

Se si legge Il Signore delle Mosche come una metafora della tendenza autodistruttiva delle società umane afflitte dal benessere può emergere una certa angoscia. Le basi della più civile delle società, teoricamente quella britannica, (specie nel dopoguerra) s’imbarbariscono per una sorta di strana malagestione della libertà e dell’eguaglianza. E questo in effetti non rassicura.

Però bisogna dire che nel romanzo sono completamente assenti le donne.

Melissa Pignatelli

Da leggere: William Golding, Il Signore della Mosche, Oscar Mondadori (1a pubblicazione 1952).

Immagine in copertina: l’illustrazione per le nuove edizioni Oscar Mondadori de Il Signore delle Mosche eseguite da GIPI.

William Golding nell’Enciclopedia Treccani Online

 

 

 

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