Pubblicato il 24 Gennaio 2018

Paradosso del progresso: la solitudine del cittadino

di Melissa Pignatelli

La nomina di un britannico “Ministro della Solitudine” in un umido giorno di Gennaio 2018 ci coglie di sorpresa. Non eravamo forse all’interno di una delle società più moderne, avanzate, progredite? Di quelle che insegnano superbamente a tutto il pianeta come fare, di cui molte nazioni sono o si sentono suddite? Ebbene si, ma evidentemente ai vertici della scala del progresso (semmai ne esistesse veramente una) esiste una popolazione di ben 9 milioni di persone che, secondo dichiarazioni raccolte dalla Croce Rossa, non ha avuto contatti con altri esseri umani da molto tempo.

Ma in che modo il progresso ci ha portati ad una condizione umana così distante da quella della socialità tipica della nostra specie? In che modo il progresso ha portato gli individui ad un paradosso che tocca la stessa possibilità di sopravvivenza della specie?

Rendendoci conto che non stiamo leggendo un manoscritto inedito di George Orwell, non ci resta che esaminare la nomina del Ministro della Solitudine all’interno del più ampio quadro sociale di cui è espressione.

Zygmunt Bauman, aveva capito che un individualismo sfrenato, un neoliberismo senza limiti, un’esaltazione dell’assenza di limiti avrebbero potuto comportare dei rischi. Egli individuava, infatti, l’assenza di rappresentatività della vita pubblica, dell’agorà, l’indice chiaro di un problema che sarebbe sorto.

Bauman aveva capito che la libertà individuale articolata all’interno di quella collettiva non esiste quasi più. E così vedeva una società che aveva perso le coordinate del suo viaggio collettivo, del quale non sembrava più avere il controllo, quasi come “se i passeggeri di un aereo che si accorgessero che la cabina di pilotaggio fosse vuota, e che la voce rassicurante del capitano fosse soltanto la ripetizione di un messaggio registrato molto tempo prima”.

Nel passaggio estratto dal saggio La solitudine del cittadino globale, pubblicato in Italiano da Feltrinelli nel 2000, leggiamo il punto preciso del ragionamento di Bauman:

“E’ possibile che l’aumento della libertà individuale coincida con l’aumento dell’impotenza collettiva in quanto i ponti tra vita pubblica e vita privata sono stati abbattuti o non sono mai stati costruiti; oppure, per dirla diversamente, in quanto non esiste un modo semplice e ovvio di tradurre le preoccupazioni private in questioni pubbliche e, inversamente, di identificare e mettere in luce le questioni pubbliche nei problemi privati.

In assenza di ponti, la comunicazione sporadica tra la sponda del privato e quella del pubblico viene mantenuta con l’aiuto di palloncini che hanno la seccante abitudine di afflosciarsi o scoppiare nel momento in cui toccano terra; e molto spesso prima di giungere a destinazione. Se l’arte del tradurre è ridotta in condizioni pietose, le sole lagnanze a trovare espressione  nella sfera pubblica sono le angosce e i tormenti privati che, comunque, non si trasformano in questioni pubbliche solo per il fatto di essere esibiti pubblicamente.

In assenza di ponti solidi e duraturi, nonché di perizia nell’arte del tradurre, poco praticata o totalmente dimenticata, gli affanni e le pene private e non si sommano e non riescono  cimentarsi in cause comuni. Date le circostanze, che cosa può unirci?

La socialità, per così dire, è incerta alla vana ricerca di un punto fermo cui appigliarsi, un traguardo visibile a tutti su cui convergere, compagni con cui serrare le file. Ce n’è molta tutto intorno: caotica, confusa, sfocata. Priva di sfoghi regolari, la nostra socialità viene tendenzialmente scaricata in esplosioni sporadiche e spettacolari, dalla vita breve, come tutte le esplosioni.

L’occasione per liberare la socialità è fornita talvolta da orge di compassione e carità; talaltra da scoppi di aggressività smisurata contro un nemico pubblico appena scoperto (cioè, contro qualcuno che la maggior parte degli occupanti la sfera pubblica può riconoscere come nemico privato); altre volte ancora da un evento cui moltissime persone reagiscono intensamente nello stesso momento, sincronizzando la propria gioia, come nel caso della vittoria della Nazionale ai mondiali di calcio, o il proprio dolore, come nel caso della tragica morte della principessa Diana.

Il guaio di tutte queste occasioni è che si consumano rapidamente: una volta tornati alle nostre faccende quotidiane, tutto riprende a funzionare come prima, come se nulla fosse successo. E quando la fiammata di fratellanza si esaurisce, chi viveva in solitudine si ritrova solo, mentre il mondo comune, così sfolgorante solo un momento prima, sembra più buio che mai. E dopo l’esplosione, non resta energia a sufficienza per riaccendere le luci della ribalta.

L’opportunità di mutare questa condizione dipende dall’agorà: lo spazio né privato né pubblico, ma più esattamente privato e pubblico al tempo stesso.

Lo spazio in cui i problemi privati si connettono in modo significativo: vale a dire, non per trarre piaceri narcisistici o per sfruttare  a  fini terapeutici la scena pubblica, ma per cercare strumenti gestiti collettivamente abbastanza efficaci da sollevare gli individui dalla miseria subita privatamente; lo spazio in cui possono  nascere e prendere forma idee quali “bene pubblico”, “società giusta”,  o “valori condivisi”.

Il problema è che oggi è rimasto poco degli antichi spazi privati/pubblici, ma non se intravedono di nuovi e idonei a rimpiazzarli. Le antiche agorà sono state rilevate da intraprendenti immobiliari e riciclate in parchi dei divertimenti, mentre forze potenti cospirano con l’apatia politica per rifiutare i permessi di costruirne di nuove”.

Bauman individuò così uno spazio possibile dal quale ripartire per costruire una rappresentatività reale e nel quale si potrebbero porre le base per una nuova società: rimarginata ed inclusiva anche di quelle parti sofferenti che fanno parte dell’intero corpo sociale.

Il fatto che il nuovo ministro britannico sia una donna ci fa sperare che un nuovo punto di vista, più rappresentativo della realtà quotidiana vissuta dai sudditi di Sua Maestà, possa emergere.

Melissa Pignatelli

Fonte citata e testo da leggere per approfondire: La solitudine del cittadino globale, Zygmunt Bauman, Feltrinelli editore, 2000.

Per approfondire la questione, lo studio che ha portato alla nomina del Ministro, commissionato dalla Croce Rossa inglese è disponibile, in inglese, qui.

In fotografia una riproduzione del quadro Automat di Ewdard Hopper (1927) di Gandalf’s Gallery.

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