Pubblicato il 16 Agosto 2020

Quando Roma era il paradiso di Stefano Malatesta

di Melissa Pignatelli

Ci fu un tempo – non molto lontano – di cui fa bene leggere dalla penna narrante e viaggiatrice di Stefano Malatesta, in cui Roma era un paradiso. Malatesta, da poco lasciata la vita terrena nella quale brillava nelle lettere per un umorismo all’inglese sapientemente tornito in descrizioni spensierate, è stato anche testimone e partecipe di una vita capitolina che fremeva intorno ad attività culturali agli albori come la fotografia, il cinematografo e gli atelier dei grandi galleristi di cui racconta con allegra nostalgia in Quando Roma era un paradiso (Skira, 2015). Roma raccontata da Stefano Malatesta era una capitale che viveva di piccole cose, e che si divertiva molto.

La vita quotidiana, ad esempio, era molto animata da cinematografari. Malatesta nel suo stile acuto e sottile da narratore inimitabile racconta che il termine “era nato nel dopoguerra insieme a vitelloni e paraculi e stava a indicare la gente del cinema senza una qualifica precisa, personaggi illetterati e rozzi per la maggior parte, l’esatto opposto dei cineasti. I cineasti erano Rossellini, Visconti, De Sica, i cinematografari erano tutti quei produttori nati nel dopoguerrra come funghi che avevano trovato nel cinema il loro habitat naturale. Molti di questi non avevano una lira e nessuno sapeva dove riuscissero a rimediare dei soldi. Ma senza di loro molti film non si sarebbero mai girati. Erano invadenti, onnipresenti, vocianti, a Roma frequentavano i migliori ristoranti, come il Bolognese, ma non di accomodavano a tavola subito. Prima ispezionavano il locale sperando di trovare qualche personaggio famoso da incastrare. Ogni città ha sempre avuto un’arte a fare da locomotiva, che tirava tutte le altre come vagoni. A Roma, nei primi dieci anni del dopoguerra, è stato il cinema a fare da locomotiva. Non solo quello dei cineasti ma anche quello dei cinematografari, personaggi inattendibili, notoriamente bugiardi ma indispensabili, immortalati in una famosa battuta di Ennio Flaiano, nume tutelare del periodo: “Si fa il film, certo, certissimo, anzi probabile”.

Al mare gli esponenti del mondo delle lettere come Pier Pasolini Pasolini, Mario Soldati, Italo Calvino, Alberto Moravia, Indro Montanelli, si si dividevano tra Sabaudia, Ostia, Castiglioncello e Bocca di Magra e si osservavano, scrivevano, si innamoravano. Malatesta, che amava scrivere i dettagli storici, gli episodi realmente accaduti, magari  raccontati dagli amici, ricercava e verificava senza sosta le storie dei periodi che amava di più. Così di quell’epoca d’oro romana ci racconta che “il lavoro del bagnino era riservato a pochi clan, il più noto era quello dei cinque fratelli Balini, sparsi in tre o quattro stabilimenti. Il più vecchio, Vittorio, era diventato l’amante di una anziana signora americana che lavorava per il cinema. Agli inizi degli anni Sessanta l’americana ripartì per gli Usa portandosi dietro Vittorio. E poco tempo dopo a Hollywood il bagnino italiano comprò, per un colpo di fortuna, i diritti europei di una serie allora appena agli inizi, che si chiamava Dallas. Diventato miliardario nel giro di qualche anno, tornò a Ostia e costruì il porto di Fiumicino, che non esisteva, e che ha un’architettura molto americana, con i negozi sulla banchina”.

E poi ancora storie ed aneddoti su Plinio de Martiis, gallerista eclettico, Mario Schifano che dipingeva in via Flaminia, Giorgio Franchetti che amava e collezionava arte contemporanea e così via, in una leggera galleria di ritratti ormai destinati a diventare documenti storici di un’epoca.

La parte caotica, intrigante e cupa di Roma non fa da sfondo ai personaggi narrati, e con un positivismo proprio e caratterizzante della sua vita, Malatesta  vede e racconta una Roma verde e lussureggiante, piacevole da abitare, ricca dei parchi verdi delle grandi ville come Villa Dorja Pamphilj nella quale egli stesso amava molto passeggiare.

“La mia passeggiata preferita a Roma, paragonabile a quelle che facevo in Toscana o in Sicilia lungo il mare, era la circumnavigazione di Villa Pamphilj che aveva il fascino aggiuntivo di emanare vibranti ricordi risorgimentali e garibaldini. Credo che Respighi abba composto I Pini e Le Fontane di Roma ispirandosi a Villa Borghese. Ma ho sempre pensato che Villa Dorja Pamphilj fosse il luogo che esprimeva più compiutamente l’andare impressionistico della composizione e quello che radunava dentro uno spazio limitato tutte le componenti paesaggistiche della campagna romana, sempre così presenti nella musica di Respighi. E non so veramente se sia un’idea semplicemente stupida e non realizzabile, ma l’amministrazione del parco dovrebbe trovare il modo, per un paio di ore al giorno, di diffondere I Pini lungo l’itinerario della passeggiata, proprio come se la musica provenisse dal leggero stormire dei rami sotto il Ponentino. Tornerei anch’io a passeggiare”.

Grazie Stefano per i tuoi racconti disinvolti e felici, per la tua penna che per moltissimi anni ha scolpito,  levigato e lucidato storie di luoghi e persone che ci consentono di ammirare Roma, il Medio Oriente e l’Africa con i loro strati di storie e memorie, come vibranti sculture di legno tornite dal lavoro dei tuoi occhi e delle tue mani, “un paziente lavoro di falegnameria”, che continueremo ad ammirare leggendo e rileggendo i tuoi libri.

Melissa Pignatelli

Stefano Malatesta, Roma 5 Aprile 1940 – Roma 14 Agosto 2020 

Da leggere: Stefano Malatesta, Quando Roma era un paradiso, Skira, 2015.

Fotografia del tempio di Esculapio a Villa Borghese.

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