Pubblicato il 2 Maggio 2019

La fatalità, in Notre Dame de Paris di Victor Hugo

di Melissa Pignatelli

Nel rileggere un testo al quale la straordinarietà degli eventi contemporanei ci fa volgere il pensiero, ovvero prendendo in mano Notre Dame de Paris di Victor Hugo (pubblicato nel marzo 1831), ritroviamo un incipit particolare e lugubre in un testo che a qualcuno, come Honoré de Balzac, non piacque quando uscì. Balzac lo trovava “troppo volto alla struttura, noioso e vuoto “. Il romanzo, che contribuì malgrado il parere di Balzac, alla gloria letteraria di Hugo inizia con un espediente letterario, un’ Avvertenza, fortemente coinvolgente:

“Anni fa, visitando, o per dir meglio, investigando Notre-Dame, l’autore di questo libro scoprì, nello scuro recesso di una delle due torri, questa parola, scolpita a mano sul muro:

ANAΓKH

Tali maiuscole, greche e nere per vetustà e molto profondamente incise nel sasso, un non so che di caratteristico della grafia gotica impresso nelle forme e nella disposizione, quasi a rivelare che a tracciarle colà era stata una mano medievale, il senso soprattutto, lugubre e fatale, che racchiudono colpirono vivamente l’autore.

Egli si domandò, cercò d’indovinare quale anima in pena potesse esser stata quella che non aveva voluto staccarsi da questo mondo senza lasciare quella stimmata di delitto o sventura in fronte all’antica chiesa.

Dopo di allora il muro fu intonacato o raschiato (non ricordo più bene) e l’iscrizione scomparve: perché proprio così, da duecent’anni a questa parte, si usano trattare le meravigliose chiese del Medio Evo”.

Questo incipit che connota il romanzo, come una pietra ancorata alla realtà che finge di ritrarre, cosparge il contenuto di quel tono cupo tipico del romanzo gotico che Notre-Dame de Paris incarna. Il suspens inizia così, con una finzione che aggancia il lettore al testo e lo induce a proseguire il suo percorso letterario. Egli, ignaro di tutto, ancora non sa che il testo svelerà l’autore della scritta, come una prima, inaspettata fatalità. Quest’ingrediente, tra il fastidioso e l’incontrollabile, creatore e distruttore, genera il testo, come ha scritto Sabine Narr in una tesi per un seminario su Victor Hugo, e porta il lettore attraverso quei passaggi e quei segni che come il torrente, attraversano la vita.

Così in maniera emblematica, per noi e per ognuno dei personaggi, il viaggio termina come già fatalmente sappiamo, con la morte: per malattia, violenza, crudeltà o romanticismo, la fine – ineluttabile – arriva per tutti. E nei personaggi di Victor Hugo è emblematica in particolarenella morte di Esmeralda, zingara che fatalmente non lo è, che muore e rimuore nel romanzo nell’abbandono, condanna e tirannia che la vita le elargisce; Quasimodo che con lei muore per amore, lo scheletro polverizzato al distacco, anni dopo; Phoebus il suo amato muore nel matrimonio; Frollo muore dalla torre della cattedrale. Lei stessa, Esmeralda, muore sul patibolo dopo aver assistito alla morte della madre, aspettata tutta la vita ed appena ritrovata.

Per la Narr, che analizza l’etimologia della parola greca, ananke significa “forza”, “costrizione”, “necessità fatale”, e derivano i significati della lingua corrente, tra cui anche una “serie di coincidenze incresciose, inspiegabili e che sembrano manifestare una finalità superiore e sconosciuta” (Petit Robert, Larousse) . E se leggiamo ancora la fine dell’Avvertenza iniziale di Notre-Dame de Paris, vediamo come la fatalità costruisce l’atmosfera gotica del romanzo, indicando con un segno che possiamo leggere solo oggi, il tragico destino – quello di cui siamo testimoni oggi – della cattedrale francese.
“Se si toglie il labile ricordo che qui l’autore di questo libro le consacra, oggi, quindi, nulla più rimane della misteriosa parola incisa nella cupa torre di Notre-Dame, nulla dell’ignoto destino che quella parola tanto melanconicamente riassumeva. L’uomo che la tracciò su quella parete è, da vari secoli, scomparso dal flusso delle generazioni; la parola è a sua volta, scomparsa dal muro della chiesa; la chiesa stessa scomparirà forse, fra non molto, dalla faccia della terra. Su tal parola è stato composto questo libro.”
La fine fatalmente annunciata in questo libro fa venire i brividi e la voglia di leggere il romanzo. E ricorda che, oggi come ieri, i segni tracciati dalle parole connotano i luoghi e gli oggetti, come ad esempio il teatro veneziano, La Fenice, che brucia e risorge.
È la storia però che si svela solo lasciandola scorrere.
Melissa Pignatelli
Testo: Victor Hugo, Notre Dame de Paris, Biblioteca Universale Rizzoli (prima pubblicazione 1831).

Tesi citata: Sabine Narr, Université de Tübingen, Séminaire des Langues et Littératures Romanes, Hauptseminar: Victor Hugo

Immagine (guardare da vicino per vedere in trasparenza la parola ANAΓKH scritta dal romanziere francese): la prima pagina autografa del libro di Victor Hugo – Encyclopédie Autodidactique Quillet, Tome 3, 1960, Pubblico dominio, in WikiMedia Commons.

 

 

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