Pubblicato il 20 Maggio 2019

Responsabilità per uscire dal caos, la morale del film Cafarnao

di Giulia Bertotto

A Beirut un bambino di nome Zain, porta in tribunale i suoi genitori con l’accusa di averlo messo al mondo. La trama del film della regista libanese Nadine Labaki è eticamente coraggiosa e al contempo si solleva da un tabù morale: la domanda se sia davvero un bene e cosa significhi che possa essere un bene, venire al mondo.

Quella che intendo proporre qui è una riflessione sulle risorse intellettuali ed etiche che si trovano nella presa in carico della responsabilità personale verso tutto ciò che ci circonda, e di come il concetto di responsabilità abbia una radice ontologica (discorso sull’essere in sé) e non solo etica.

Iniziamo dal titolo: “Cafarnao” nei Vangeli è il luogo del caos, dell’informe, della disarmonia, ma anche del miracolo: nel sinottico di Marco, Gesù guarisce un paralitico e in Luca esorcizza un posseduto. Guardando il film il senso di discordia si attacca addosso, la claustrofobia putrida e melmosa non è solo un posto fisico, ma una condizione esistenziale che nessuno sforzo sembra poter dipanare.

Zain ha circa dodici anni, è il figlio più irrequieto di una famiglia povera e numerosa, che vive nei sobborghi disagiati di Beirut. Zain non accetta che sua sorella, Sahar venga data in sposa ad un uomo molto più grande che conosce a malapena. La ragazzina è in qualche modo usata come merce umana di scambio perché il suo pretendente è legato al proprietario della loro casa.
Nei primi minuti vediamo che sono principalmente i bambini a subire dei soprusi, tuttavia anche i genitori, gli adulti, cedono sotto le sopraffazioni di complicati sistemi di potere e logiche di sfruttamento: il sistema economico che ha bisogno della miseria, i conflitti internazionali, i trafficanti di esseri umani.

Zain soffre perché si sente investito di una responsabilità profonda anche nei confronti degli altri, come di sua sorella Sahar, che potrebbe essere data in sposa a soli 12 anni. Zain è  circondato dall’irresponsabilità degli adulti: un bambino che percepisce di non  potersi fidare delle figure di riferimento si sente costantemente in pericolo1.

Nell’irresponsabilità di padri e madri che procreano senza avere cura delle loro creature, il piccolo Zain identifica il male del mondo. Chaos, nella “Teogonia” di Esiodo è il nome dell’entità informe da cui si plasma il mondo, un risucchio vorticoso da cui è emerso, o tenta ancora di emergere, la pacifica intelligenza delle cose. Ma il piccolo Zain, del quale non conosciamo l’età precisa, perché i suoi genitori non hanno neppure le risorse per ottenere i suoi documenti, decide di farsi carico di sé stesso, di provare ad uscire dal caos e accettare la responsabilità che il nascere impone a ciascuno di noi.

La metafisica manichea sembra accordarsi con i pensieri del piccolo Zain: i manichei, nell’Iran del III secolo d. C. vedevano il cosmo come il prodotto malato della commistione tra due principi contrapposti, sulla scia di un dualismo già tradizionale nell’Iran zoroastriano. Il cosmo, per i membri di questa corrente, era il figlio di un mescolamento insano tra due nature che avrebbero dovuto restare separate, che non avrebbero dovuto generare il nostro pianeta. L’uomo non era responsabile del male perché la triade maligna tenebre-male-materia aveva attaccato il bene-spirito-luce. Per i manichei gli uomini erano però chiamati a non riprodursi per non reiterare la prigionia dello spirito nella materia2.

Il risarcimento che Zain chiede al tribunale del mondo è che i genitori smettano di fare figli se il loro amore non è responsabile, se il loro amore non è vero amore. Perché per l’esperienza di Zain il mondo è un posto che tormenta e imprigiona. Non a caso è proprio da un penitenziario che si leva il grido di riscatto di tutti i detenuti, di tutti coloro che sono “cattivi”, dal latino captivus, “prigioniero”, in cattività.

Zain, a differenza dei suoi genitori, riuscirà ad essere responsabile di un bambino. Per questo riuscirà anche ad essere in qualche modo libero. Perché si assumerà la sua responsabilità, quel vincolo ontologicamente legato al nascere, da cui però sboccia la libertà.

Giulia Bertotto

Immagine dal trailer ufficiale del film Cafarnao. Caos e miracoli di Nadine Labaki, con Nadine Labaki e Zain al Rafeea premio della Giuria del Festival di Cannes, 2018, distribuito in Italia da Lucky Red. Qui la reazione della regista a Cannes quando riceve il premio.

Condividi l'articolo sui tuoi Social!

SOSTIENI




Ultimi articoli