Il filosofo berbero Averroè è come un vento funesto che spiffera nelle finestre del castello della filosofia occidentale. Ma proviamo ad entrare nelle sue fortezze. In questo saggio,  Averroè l’Inquietante. L’Europa e il pensiero arabo di Jean-Baptiste Brenet (Carocci, 2019), l’autore costruisce una sorta di “caso Averroè” nel quale la vittima è l’individualità del pensiero umano e l’arma del delitto, l’intelletto agente.

Capo d’accusa, è questo intelletto eterno e separato da tutte le facoltà umane, unico per tutti gli uomini. L’idea incriminata è che tutti i nostri diversi, disparati, anche discordanti e opposti pensieri derivino ontologicamente da uno stesso principio psichico, l’intelletto agente, particolarizzato poi dall’intelletto possibile. Questo delitto si chiama monopsichismo e secondo la filosofia medievale che ha recepito il sistema averroniano, ha conseguenze di immane portata: castra intellettivamente l’uomo, lo invalida a una condizione senza dignità razionale, comporta l’insignificanza e l’annichilimento della personalità individuale e dell’intero progresso della nostra storia. Insomma, nessuno di noi vorrebbe attribuire l’originalità delle proprie idee ad un indistinto pensante comune a tutta l’umanità!

L’autore ci addentra da subito in parallelismi e suggestioni tra la psicanalisi freudiana e le angosce medievali, ispirate da questo intelletto agente averroniano. Il Monopsichismo di cui si macchia il filosofo