Pubblicato il 20 Luglio 2019

Freud e il non europeo: una riflessione su Mosè

di Giulia Bertotto

Il saggio di Edward Said,Freud e il non europeo” (Meltemi, 2018) testo ampiamente dibattuto, prende le mosse dalla controversa opera di Freud “L’uomo Mosè e la religione monoteistica” del 1939. In questo scritto, Freud presentava un Mosè diverso da quello tradizionale, non un eroe “di stirpe” ma piuttosto un eroe “sincretico”, che Said, intellettuale simbolo della causa palestinese, riprende per restituire al fondatore dell’identità ebraica, una ricchezza storica più profonda e a suo avviso realistica. Questa operazione ermeneutica ha il valore di riaprire i confini geo-identitari e la possibilità di un dialogo sulle origini comuni tra mondo arabo e Stato d’Israele.

Said pone una serie di osservazioni, più che mai attuali ed urgenti, riguardo al saggio di Freud, che il fondatore della psicanalisi scrisse all’età di quasi ottant’anni. Egli, operava una forte demitizzazione dell’Esodo e della figura salvifica di Mosè; nella quale il profeta veniva sottratto al popolo ebraico in quanto egiziano, e il monoteismo stesso, diveniva un primato egizio, sminuendo la portata ebraica nella creazione della fede monoteista.

Il culto monoteista sarebbe infatti stato introdotto dal faraone Akhenaton, per la celebrazione del dio Aton, rappresentato come un disco solare. Il grande eroe liberatore del popolo ebraico dalla schiavitù egizia, portatore della sacra verità dell’antica alleanza, sarebbe in realtà un egiziano, reduce di un culto animista che tenta di diffondere il suo credo nel popolo giudeo.

La tesi di Said è che vi sia una profonda discordanza tra la memoria storica del popolo ebraico rappresentato da Freud, e la politica sionista, la quale contraddice l’apertura di Freud e dell’autentico popolo ebraico alla possibilità di un’origine non semitica di Mosè e perfino del monoteismo ebraico, che deriverebbe da un antico culto solare.

Dunque, Freud era aperto ad affermare e ricercare contaminazioni pre-semitiche siriache, copte, egiziane, mentre “la complessa stratificazione del passato è stata cancellata dall’Israele ufficiale”. Mosè era un soggetto non-ebreo e non-egizio, ma paradossalmente ebreo ed egizio insieme; Mosè atopico, rifugiato, migrante, condottiero ma anche esule. Il Mosè freudiano, come ogni identità, era nutrita da alterità. Ma la legittimazione colonialista d’Israele sembra aver perduto questo archivio della propria ricchezza multiculturale.

Freud, uomo geniale e combattuto, ipotizza che l’identità ebraica abbia attinto da egizi e arabi, ha una visione cosmopolita, dinamica delle comunità umane, anche se a tratti, sostiene Said, fortemente antisemita.

Al contrario lo stato d’Israele ha lavorato per la costruzione di una (presunta) identità impermeabile e monolitica che legittimerebbe con prove archeologiche, linguistiche e religiose, il suo insediamento coloniale e la sua occupazione territoriale, filtrando ogni altra contaminazione etnica e culturale.

Si è dotata di una narrazione storica che vorrebbe l’ebraismo nato come un seme in una terra senza altre contaminazioni, influenze e colori provenienti da altre tradizioni. Said, denuncia allora non solo l’esclusione del popolo palestinese da parte dello stato d’Israele, ma anche i danni di un impoverimento teorico della vicenda storica e culturale ebraica.

Possiamo leggere con l’occhio dell’attualità questo monito secolare, e imparare dal “Freud non europeo” che nessun uomo come Mosè –e nessun popolo- è un’isola culturale, un atollo etnico senza onde di genti che rimescolano le sue coste.

 

Giulia Bertotto

Edward Said, Freud e il non europeo, Meltemi Editore.

Immagine: Fotografia di Italo Rondinella, Pavilion of TURKEY We, Elsewhere, 58. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, MayYou Live In Interesting Times. Courtesy: La Biennale di Venezia.

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