Pubblicato il 15 Agosto 2019

Bauman e il disagio postmoderno

di Giulia Bertotto

Il disagio della postmodernità (Laterza 2018), è un pilastro dell’analisi sociologica, uscito per la prima volta nel 1997, ma tuttavia attualissimo, è opera di uno degli intellettuali più influenti del Novecento, il polacco Zygmunt Bauman, penetrante osservatore delle flessioni sociali della nostra epoca, da lui chiamata “postmodernità”.

La retorica del «festino consumista» o postmodernità, vuole che la volontà umana sia incontrastabile ed efficace sulla realtà, mentre l’esperienza individuale deve fare i conti con «regole del gioco che non durano neppure una partita», contratti che si esauriscono dopo un mese, contatti umani superficiali, relazioni in cui i partner accettano il rapporto finché non scade la convenienza reciproca; “nessuna affidabilità da parte tua e nessuna responsabilità da parte mia”, recita la serenata postmoderna.

Una fobia del contatto che si esprime anche nel tabù della morte, nuova pornografia: la morte spettacolarizzata nei film ma estraniata dalla vita familiare, estirpata dalla vista concreta, medicalizzata e affidata a professionisti competenti. Il dispositivo computer è «L’equivalente elettronico del ritratto di Dorian Grey», scrive l’autore; il sogno dell’immortalità è ora detenuto dalla memoria virtuale (oggi diciamo del Web). Non si cerca più l’immortalità nelle opere dei mortali ma la vita eterna in cose già morte.

L’uomo non è mai stato così confuso. Non ha mai avuto, neanche con l’Umanesimo, un’idea così grandiosa di se, stridente con un’esistenza più barcollante e incerta.

Prima della postmodernità, scrive l’autore, «l’ incertezza ontologica» consisteva nel debito dell’uomo nei confronti del divino, e poteva avere come risposta l’escatologia, la salvezza dell’anima a dispetto del corpo. Invece l’incertezza postmoderna rinuncia all’anima, ignora l’escatologia e anzi vuole godere del corpo finché se ne sta verticale sulla schiena.

La pubblicità approfitta della nuova ricerca di estasi spersonalizzante offrendo esperienze estreme e totalizzanti attraverso cibi, vestiti, saponi. Quello che lo yogin poteva fare in qualità della perdita di ego, ora può farlo al prezzo di una bevanda.

L’uomo era insufficiente al cospetto di Dio, ora è insufficiente davanti alle leggi sempre cangianti e illusorie del mercato, è «turista» di sensazioni o «vagabondo» vischioso, questa la gerarchia postmoderna.

La «tendenza polarizzatrice» tra esclusi al party degli acquisti e ammessi-eletti diluisce il perimetro identitario degli uomini e delle donne di questa era, rendendoli così tremendamente insicuri riguardo alla loro essenza; ed è così che facilmente percepiscono lo straniero come un pericolo vischioso, una minaccia melmosa. Molti politici fanno leva su questa fragile percezione identitaria del potenziale elettore, spaventato che il suo confine personale venga calpestato da invasioni di miserabili. In realtà, lo sforzo di autodeterminazione di ciascuno, viene incessantemente vanificato da disoccupazione, disdette improvvise, carriere interrotte, banche fallite, promesse mai rispettate. La persona umana non realizza la sua vocazione ma colleziona infaticabile nuovi business da cui non ricaverà nessuna soddisfazione duratura e nessuna crescita interiore.

La costruzione del se individuale nella comunità sociale è quasi impossibilità, nonostante la tenacia di organizzare una professione e pianificare una famiglia. Questo fallimento strutturale al sistema viene scaricato sul vagabondo, spauracchio del non invitato alla festa del benessere.

Ogni giorno l’uomo postmoderno si sveglia per affrontare un altro inizio assoluto, in cui non sa se il posto di lavoro e il compagno di ieri sarà lo stesso. E in quanto collezionista di sensazioni crederà che questa sia libertà e flessibilità, nuova virtù premiata con il precariato, finché non ripiomberà nell’ansia identitaria. In questo fango scivoloso, gli zombie-consumatori di Bauman brancolano tra edonismo esasperato e terrore dell’indigente, il quale rappresenta ciò che potrebbe capitare in ogni istante.

Certamente questa analisi impietosa, con stile caustico e forte senso dell’apocalittico, funziona da catalizzatore di attenzione e presa di responsabilità: leggere e rileggere questo saggio per essere parte attiva della storia e non del gala di un’umanità stordita.

Giulia Bertotto

Zygmunt Bauman, Il disagio della postmodernità, Editori Laterza,pp. 354.

Immagine: Fotografia di Heirloom, di Francesco Galli, Padiglione nazionale della Danimarca, 58. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, MayYou Live In Interesting Times. Courtesy: La Biennale di Venezia.

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