Pubblicato il 5 Settembre 2019

Ibn Battuta, il viaggiatore arabo che rimase pellegrino

di Giulia Bertotto

Sono ormai disponibili svariate applicazioni, installabili direttamente su smartphone, che permettono di sapere in che direzione si trovi la Mecca, città santa per i musulmani sparsi in tutto il mondo, centro della vita interiore per ogni latitudine esteriore. Infatti, il credente musulmano, orienta le sue cinque preghiere quotidiane verso questo sito sacro, dove si erge la moschea più grande al mondo, e la Ka’ba, cuore cubico che contiene la Pietra Nera, una roccia scura che sarebbe discesa dal paradiso per volere di Dio.

Scarico un paio di app e sullo schermo compaiono bussole su sfondo damascato o una freccia ornata di fantasie floreali che mi mostra con una precisione impressionante, dove si trova la Pietra Nera.

Ibn Battuta, nato a Tangeri nel 1304 si stava recando proprio a La Mecca nel 1325, per eseguire il pellegrinaggio a cui l’islam chiama ogni fedele almeno una volta nella vita. Studiò giurisprudenza ma la legge gli andava stretta. La sua vocazione era viaggiare, conoscere ogni tratto umano, pietanze colorate, architetture diverse, imbarcazioni di ogni forma, riti e usanze inaspettate.

La laurea in legge lo rendeva un personaggio erudito e competente, così gli venivano affidati occasionali compiti da governatori e ambasciatori dai quali veniva ricevuto, e questo fu un importante vantaggio nel suo avventuroso “on the road”. Partì da solo, ma poi non tornò a casa, perché fece del mondo casa sua. Si sposò più volte, si unì a una carovana e arrivò a Medina. Trascorse un mese a La Mecca poi si aggregò ad altri viandanti e partì di nuovo. Per non fermarsi mai.

È considerato uno dei più grandi esploratori di tutte le epoche, il suo viaggio quasi coincise con la sua vita, perché peregrinò per trent’anni.

Visitò l’Iraq e la Persia, la penisola araba e la Somalia, l’Anatolia, l’Asia centrale e meridionale, l’India e la Cina. Un uomo inarrestabile che percorse centoventi mila chilometri in condizioni anche avverse ed estreme, utilizzando qualsiasi mezzo di trasporto fosse pronto a salpare o galoppare. Nessuna difficoltà fermò la sua sete di città, coste e foreste, nessuna frontiera gli fece credere che una terra fosse inesplorabile, nessuna solitudine spaventò le sue notti.

Della sua impresa resta “I viaggi”, ad opera di un andaluso che riporta la storia di Ibn Battuta, un tesoro di informazioni geo-politiche, osservazioni sociali, dati culturali ed etnografici.

Secondo alcuni studiosi la Pietra Nera che si trova a La Mecca è un meteorite, atterrato dalla galassia in Arabia Saudita.

Ibn Battuta era partito per celebrare un astro caduto dall’aldilà del cosmo. Iniziò il cammino verso un segno mondano del suo Dio e non interruppe mai quel viaggio.

Trasformò il suo passaggio fisico sulla terra, in un pellegrinaggio costante, come se la meta davvero fosse altrove.

Giulia Bertotto

In fotografia: The Ibn Battuta Mall, Dubai, United Arab Emirates  2012, Flickr/UggBoy UggGirl CC BY.

Di 5 Settembre 2019Cultura, Filosofia

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