Pubblicato il 22 Novembre 2019

Olio nuovo anche in Afghanistan

di Melissa Pignatelli

In Toscana, si sa, l’olio nuovo si aspetta con trepidazione. Il raccolto delle olive è un momento importante nella vita agricola della nostra penisola: quanto renderanno le piante, quanto sarà verde l’olio, come sarà il sapore, quanto “pizzicherà” rispetto all’anno precedente, ogni anno porta con se molte domande.

L’olio è alla base della cucina italiana ed è per questo che il nuovo raccolto ha una molta importanza. Forse prendendo spunto dalla nostra tradizione, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) ha messo a punto un progetto utile per far fruttare i 1.500 ettari di uliveto della valle di Nangarhar in Afghanistan. L’olio si usa anche nella cucina afghana quindi il prodotto è già parte delle tradizioni locali.

Così il 26 agosto 2019, l’AICS ha consegnato un frantoio alla Nangarhar Valley Agriculture Corporation a Jalalabad per migliorare la produzione d’olio d’oliva e contribuire a riattivare il settore olivicolo della regione. Gli afgani sono stati formati per utilizzare il frantoio: quelli meccanici  in acciaio garantiscono la migliore resa e la migliore qualità dell’olio. Nella prima fase del raccolto, quella in cui le olive non hanno ancora raggiunto la piena maturazione (si inizia per tempo a frangere per non far marcire la produzione delle ultime piante da raccogliere) il frantoio di Nangarhar ha spremuto circa 700 chili di olive/ora con una resa d’olio dell’8%. Una volta che le olive raggiungono la piena maturazione, la spremitura potrà arrivare ad un massimo di 1000 kg/ora con una resa di circa il 10%: davvero un’ottima resa per le olivete afgane.

E così l’olio d’oliva afgano potrà scorrere sui fondi delle pentole per dar vita agli stufati succulenti che compongono la cucina tipica delle valli intorno a Kabul.

Melissa Pignatelli

(Fonte e fotografie: AICS Kabul)

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