Pubblicato il 8 Giugno 2020

Il nazionalismo etnico o etno-nazionalismo: riferimenti teorici per un’analisi antropologica (che argini nuovi razzismi)

di Melissa Pignatelli

L’etnonazionalismo o nazionalismo etnico “fa proprie e rivendica le tradizioni di un gruppo etnico, di un popolo” (Treccani)  ma è pericoloso  in quanto fa scattare rivendicazioni politiche su basi di “identità” costruite ad-hoc per centrare obiettivi elettorali. L’etnonazionalismo è un sentire che preoccupa oggi più che mai in quanto siamo testimoni di una risalita degli estremismi che non hanno mai avuto esiti particolarmente democratici, anzi hanno sviluppato forme di razzismo.

Habermas, nel 1998 si domandava “quando, e in che misura, le popolazioni moderne comprendono se stesse come una nazione di appartenenti etnici piuttosto che come una nazione di cittadini ?” Perché in effetti “questa doppia codificazione riguarda la dimensione della chiusura o, al contrario, della inclusione, e si osserva che “la coscienza nazionale oscilla oggi, in maniera caratteristica, tra un allargamento dell’inclusione e un rinnovamento della chiusura”. 

Se oggi viviamo questa oscillazione tra l’inclusione di identità diverse, di migranti, afroamericani, latini – che siano  –  ed il rifiuto di esse, non possiamo non cercare di fare un passo indietro per tentare di cogliere il quadro più ampio nel quale si stanno giocando partite decisive.

Perché “una volta che una politica di “rinnovamento della chiusura” abbia conquistato la maggioranza del corpo elettorale, non è più plausibile che il costituzionalismo riesca ancora a mobilitare con successo le sue virtù trasformative delle modalità di convivenza.

Anzi, una volta messa l’inclusività tra “i lussi che il Paese non può permettersi”, il costituzionalismo rischia di tradursi in opzione politica contro corrente (Pinelli, 2012).

“L’esclusione indiscriminata dal processo politico, che impedisce anche agli immigrati più radicati nel Paese di trovare nei circuiti rappresentativi una canalizzazione delle proprie diversità culturali, li sospinge a tornare all‟indietro nel tempo, a ricercare nella cultura originaria le matrici esclusive della loro identità. Nello stesso tempo, rende possibile la tentazione del potere politico di sfruttare a fini di consenso l’ “eventuale disagio dei cittadini-elettori nei confronti delle comunità di immigrati”  (Pinelli, 2012).

Ecco dunque che nelle sfide dell’epoca contemporanea si potrebbero ritrovare dei fili conduttori di discorsi razzisti che hanno caratterizzato la crescita e l’ascesa delle dittature nella nostra storia recente; motivi per i quali furono firmati accordi, trattati e create realtà sovrannazionali che potessero garantire il contenimento delle possibilità di successo dei totalitarismi.

Perché per mantenere la libertà, la giustizia e la pace come li abbiamo conosciuti, e come fondamenti cardine delle nostre società, è necessario il “riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, uguali ed inalienabili”, in quanto “il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell ‟uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell‟umanità”.

E che non vorremmo dover rivedere.

Melissa Pignatelli 

Fonti:

Jurgen Habermas, L’inclusione dell‟altro. Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano, 1998, pp.142-143

Cesare Pinelli, Società Multiculturale e Stato Costituzionale,  in “www.dirittifondamentali.it” N. 1/2012 del 15/01/2012  ISSN 2240-9823,  leggere l’articolo qui. 

Leggi la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Organizzazione delle Nazioni Unite –

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