Pubblicato il 4 Aprile 2022

La crudeltà ci colse di sorpresa

di Melissa Pignatelli

Il bambino alle fosse

“Ecco com’è andata: a Topwaza tolsero
anelli e orecchini alle donne, presero i biberon
dei neonati, ci dissero non avremmo avuto bisogno di niente dove
andavamo, ci ammassarono dentro camion come
ambulanze, con finestrini in fondo – donne e
bambini, nessun uomo, nessun vecchio. Poi cominciò il viaggio
sulla lunga strada del deserto, attraverso villaggi arabi.
La gente era venuta sulla strada, esultando
di gioia. Vidi un ragazzo, forse della mia età, che si fece scorrere
la punta delle dita sulla gola. Una donna incinta
svenne per il caldo, la sete, la mancanza di ossigeno nel furgone.
Tenemmo quasi sempre la principale poi cominciò
la strada sterrata. Ci saranno volute dodici pre o più.
Poi i camion si fermarono, le porte si spalancarono, ci
afferrarono per le membra e ci tirarono fuori. Vidi le fosse,
tantissime, scavate di fresco. I bulldozer
erano in attesa. Ci misero in fila, le fosse alle nostre spalle
i soldati davanti a noi. Non ricordo quello che si
diceva, c’erano bisbigli, alcuni erano storditi, altri troppo
stanchi per protestare. Ero con mia madre e tre
sorelle, zia e cugini, e un centinaio di gente del villaggio.
L’ufficiale ordinò: fuoco! E i soldati spararono.
Fui ferito ma non grave. Mi rialzai, afferrai
il braccio del soldato, lo implorai di non sparare. Poi vidi
che piangeva. L’ufficiale ordinò nuovamente di sparare,
e lui sparò. Questa volta me ne stetti giù. I soldati se ne
andarono, e io vidi che mia madre e le mie sorelle erano morte,
il sangue schizzava dal polso di mia zia. Una ragazzina era
ancora viva, neppure ferita. Le dissi di scappare via con me
ma lei non osò. Strisciai fuori dalla fossa, mi nascosi
dietro il mucchio di terra e continuai a camminare fino all’ultima tomba
che era ancora vuota. Forse svenni. Quando mi
svegliai era tutto tranquillo. I soldati erano andati via, le fosse
erano state ricoperte di terra. Allora mi misi a correre a più non posso,
promisi a Dio che se fossi sopravvissuto avrei donato
ai poveri cinque dinari. All’alba arrivai al villaggio
beduino, dove fui circondato dai cani che abbaiavano.
Poi venne qualcuno con una torcia, mi portò una tenda.
Mi curarono le ferite, mi protessero, mi insegnarono
l’arabo, mi accettarono come uno di loro, ma questa è
un’altra storia, gliela racconterò un’altra volta”.

Choman Hardi, Il bambino alle fosse, raccolta Considering the women in La crudeltà ci colse di sopresa, poesie dal Kurdistan.

La poesia di Choman Hardi che racconta la storia di Taymour Abdullah, un ragazzino curdo di dodici anni sopravvissuto alle esecuzioni di massa in Iraq, poco lascia all’immaginazione sul concetto di crudeltà, che purtroppo vediamo tornare alla ribalta negli orrori di Bucha.

Di contrasto, le tribù nomadi beduine che vivono sugli aspri rilievi dell’altopiano dello Zagros verso l’Iran, mostrano un’umanità semplice nell’accogliere l’adolescente superstite, un’umanità che oggi  ripete drammaticamente l’assurdità della guerra.

Una crudeltà e una guerra che ci colgono, oggi e sempre, di sorpresa.

Melissa Pignatelli

Choman Hardi, La crudeltà ci colse di sorpresa. Poesie dal Kurdistan, a cura di Paola Splendore con una nota di Hevi Dilara, Edizioni dell’Asino, 2017. Recensione per gentile concessione del CRIC-Coordinamento delle Riviste Italiane di Cultura.

Choman Hardi è una poetessa curda nata a Suleymania in Iraq nel 1974 la cui famiglia fugge le persecuzioni di Saddam Hussein prima in Iran poi in Inghilterra. Diventata ricercatrice, Hardi torna in Kurdistan per una ricerca sulle donne sopravvissute al genocidio e dal 2014 risiede a Suleymania dove insegna all’American University of Iraq. I suoi ricordi, impressioni  e testimonianze compongono la raccolta La crudeltà ci colse di sorpresa che comprende testi tratti dal compendio Life for us e Considering the women tradotte da Paola Splendore per le edizioni dell’Asino.

Immagine: Renata Rampazzi, Cruor, Museo Biliotti di Villa Borghese, Roma, 17 Settembre 2019-21 Aprile 2021,.

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