Se il linguaggio fosse liquido starebbe correndo dentro: così esordisce Suzanne Vega nel brano – Language – tratto dal suo secondo album “Solitude Standing” del 1987.

Il linguaggio con tutte le sue sfaccettature può realmente essere considerato un confine oltre il quale esistono interi regni di significato mai esplorati, mai toccati dalla razionalità. Come la cantautrice anche noi ci interroghiamo sul significato della parola e sui suoi limiti. Quella parziale comprensione delle parole ci pone davanti alla crosta del significato al di sotto della quale esiste l’incompreso, l’insondabile, l’irrazionale. Il linguaggio diviene allora metafora di un limite, diventa quasi una caverna che ci sta stretta e ci impedisce di vedere e comprendere tutto ciò che sta all’esterno di questo utopico rifugio della parola. Quelle parole non si muovono e così non riescono a catturare la macchia nel cervello. La macchia del pensiero più intimo non può dunque essere colta nell’andirivieni del significato e per questo si resta al di fuori della piena comprensione.

Forse non sbagliava Aldous Huxley quando affermava che dopo il silenzio, ciò che si avvicina di più all’inesprimibile è la musica e non è forse un caso che sia proprio una canzone a porci l’arcano sui confini della parola. Suzanne Vega si interroga instancabilmente in questo brano rendendolo enigmatico e sempre attuale. La letteratura stessa nel corso dei secoli si è dovuta confrontare con i limiti della parol