In Tu che mi guardi, tu che mi racconti (Castelvecchi editore)  Adriana Cavarero racconta la sua comprensione della differenza sessuale: la vita sarebbe un insieme di storie che aspettano di essere raccontate o narrate da chi, con amore, si china sul nostro tracciato, ne coglie i segni e li trasforma in un racconto che ci rende protagoniste: ma perché questa trasformazione ha bisogno di un autore? E “perché il significato dell’identità è sempre affidato al racconto altrui della propria storia di vita?”

La narrazione è un’attività prevalentemente femminile, fatta di tessitura, di pazienza, di osservazione e di trasformazione; un’arte che rende unici dettagli e particolari, e che secondo Francesca Di Donato, la filosofia astratta, maschile, di Platone ha messo in secondo piano:

“Adriana Cavarero critica la tradizione del pensiero da Platone in poi che ha cancellato l’individualità del soggetto a favore della definizione universale: è proprio Platone che con la sua filosofia ha stabilito il primato dell’astratto (universale) sul narrato (concreto, particolare, unico). Platone, attaccando la poesia e la tradizione orale con