Pubblicato il 21 Marzo 2024

L’altro e il ruolo pubblico dell’arte

di Demetrio Paparoni

La difficoltà di affrontare e gestire i fenomeni migratori ha origine nella storica complessità del rapporto con l’estraneo: il conflitto sorge nel momento in cui ravvisiamo nell’estraneo una figura che esprime valori che possono apparire incompatibili con la nostra visione del mondo. E siccome crediamo che l’arte ha il potere di incidere sull’opinione pubblica apportando consapevolezze tali da svolgere un ruolo sociale importante, proponiamo una riflessione su l’altro e l’alterità con la mostra The Other and otherness appena inaugurata alla Fondazione Made in Cloister a Napoli, fino al 23 Settembre 2024.  È evidente che per noi è straniero un californiano quanto un cittadino della Costa d’Avorio, ma è altrettanto evidente che incontriamo maggiori difficoltà a entrare in dialogo con chi ha abitudini culturali più distanti dalle nostre, che proprio per questo avvertiamo come una categoria umana cui non riconosciamo lo stesso status di civiltà. Questo atteggiamento ha prodotto schiavitù, segregazione razziale, ghetti, muraglie e fossati, e non può che favorire discriminazioni e ingiustizie. Di contro, accogliere il migrante significa vedere nella diversità una ricchezza piuttosto che una minaccia. Aprirsi alle differenze consente di arricchirsi delle esperienze che ciascuno porta con sé. Questo non vale solo nel rapporto con lo straniero.

Il rapporto con l’Altro riguarda anche il modo in cui ci relazioniamo al mondo naturale e a quello artificiale. Sentire la natura come Altro e pensare di potersi porre al di sopra di essa e dominarla ha spesso conseguenze incontrollabili per il genere umano. La convinzione di poter disporre e piegare la natura alle nostre esigenze, se da un lato porta vantaggi a chi possiede conoscenze e mezzi tecnologici, dall’altro introduce degli elementi di squilibrio che colpiscono il mondo vegetale, quello animale e infine tutti noi. Basti pensare ai disastri derivanti dal cambiamento climatico. […]

A far da comun denominatore alle storie di schiavitù e di migrazione è la sofferenza di chi sa non essere accettato e rispettato, la diffidenza che si ritrova a subire. È agendo su questa debolezza che nasce lo sfruttamento economico della mano d’opera a basso costo, che per i migranti dei nostri giorni diviene una nuova forma di schiavitù. Lo sfruttamento delle risorse altrui da parte dei paesi ricchi, il cambiamento climatico dovuto alle emissioni di CO2 nei paesi industrializzati, l’instabilità politica generata dagli interessi geopolitici dei paesi dominati si ripercuotono sulle scelte di vita di milioni di persone. I fenomeni migratori contemporanei ci portano oggi a rivedere la storia della schiavitù. C’è dunque un filo rosso che lega le vicende di chi ieri è stato forzatamente portato via dal proprio luogo di origine e di chi invece il proprio luogo di origine è costretto a lasciare nella speranza di avere una vita migliore o semplicemente di poter continuare a vivere.

I comportamenti umani o disumani hanno molto a che fare con l’economia e le leggi del profitto. Per quanto quel tipo di schiavismo oggi non esista più, la sua storia rimane un tema ancora dibattuto per l’impressionante perdita di vite umane che ha comportato e per le conseguenze che ha avuto sull’assetto sociale ed economico nel mondo. Lo dimostra l’ampio dibattito avviato sulle pagine del NYTM nel 2019, titolato The 1619 project, coordinato da Nikole Hannah-Jones, che ha poi dato vita a un libro che raccoglie gli interventi pubblicati dal Magazine e altri saggi sul tema.

Howard W. French, nel suo L’Africa e la nascita del mondo moderno. Una storia globale, fa notare come i dodici milioni di schiavi deportati dall’Africa e i prodotti del loro lavoro a bassissimo costo abbiano generato profitti straordinari, che sono poi confluiti nel finanziamento della Rivoluzione industriale. È a questi profitti che si deve la diffusione tanto del modello economico europeo quanto della visione del mondo derivata dall’illuminismo, che per le vicende complesse della storia sta paradossalmente alla base della moderna concezione dei diritti umani.

Il mare ha fatto da scenario a conquiste eroiche e agguati, è stato veicolo di salvezza e di sconfitta, testimone di battaglie epiche, di avventure alla ricerca di nuove terre, di razzie, di scambi commerciali, di felici approdi e disastrosi naufragi, di diaspore, di fughe. Questa sua valenza politica ed esistenziale echeggia nell’arte di tutti i tempi che, ricollegandosi talvolta a eventi reali, ne ha tratto metafore e simboli.

Siamo tendenzialmente portati a rimuovere le situazioni dolorose che non ci toccano da vicino, questo meccanismo di autoprotezione mentale è in parte alla base dei molti problemi non risolti nel mondo, dal momento che riguardano l’Altro e non noi. Cosa può l’arte dinanzi a tutto questo? L’arte sparge sale sulle ferite perché si possa continuare ad avvertire quanto dolore c’è attorno a noi. È in tal senso che una riflessione poetica su un tema esistenziale o drammatico diviene un tentativo di superare una situazione ritenuta inaccettabile.

Demetrio Paparoni

THE OTHER AND OTHERNESS, a cura di Demetrio Paparoni, 16 marzo – 28 settembre 2024, Fondazione Made in Cloister, Piazza Enrico de Nicola 48, Napoli

Fotografia del chiostro di Santa Caterina a Napoli, sede della mostra alla Fondazione Made in Cloister di Francesco Squeglia, 2024

InterACTION NAPOLI è un progetto espositivo, ideato dalla Fondazione Made in Cloister, che si svolge ogni due anni. Artisti e artiste di diversi paesi, generazioni e linguaggi sono chiamati a realizzare opere site-specific e a interagire tra loro, con lo spazio e con la comunità dando vita ad un’esposizione collettiva realizzata grazie ai contributi di D&D D’Amico (main sponsor), della Ceramica di Vietri Franceso De Maio, di Palazzo Caracciolo Napoli, della GESAC, del Liceo Artistico Napoli, dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, dell’EAV e con il patrocinio del Comune di Napoli. Media partner Napoli da Vivere.

Artisti presenti: Radu Belcin (Romania), Domenico Bianchi, Veronica Bisesti, Giuditta Branconi, Margaux Bricler (Francia), Chiara Calore, Letizia Cariello, Gianluigi Colin, Vanni Cuoghi, Francesco De Grandi, Zehra Dogan (Turchia), Cian Dayrit (Filippine), Sergio Fermariello, Daniele Galliano, Ximena Garrido-Lecca (Perù), Silvia Giambrione, Arvin Golrokh (Iran), Jung Hye Ryun (Corea), Sophie Ko (Georgia), Filippo La Vaccara, Loredana Longo, Liu Jianhua (Cina), Troy Makaza (Zimbabwe), Samuel Nnorom (Nigeria), Henrik Placht (Norvegia), Aurelio Sartorio, Andres Serrano (Stati Uniti), Mortem Viskum (Norvegia), Wang Guangyi (Cina), Yue Minjun (Cina)

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