Pubblicato il 17 Ottobre 2023

Egemonia della comunicazione violenta

di Melissa Pignatelli

Per comprendere la violenza che ci circonda – dalle parole scelte dai mezzi di informazione, dalle linee di comunicazione politica, dagli argomenti di film e telefilm, dalla cronaca costantemente riportata per vendere copie cartacee, visualizzazioni online e ascolti televisivi, dalla violenza degli interessi che oppongono stati portandoli a risposte totali – bisognerebbe fare un passo indietro.

Il discorso dominante nei mass media occidentali raffigura un “altro lontano” in maniera generica, che si coagula in minaccia vicina ogni qualvolta accadono episodi di violenza: questi però sono più legati ad un contesto geopolitico internazionale complesso ed articolato da molti interessi, stratificati sin da prima dell’attacco alle Torri Gemelle e Pentagono del 2001, che alle verbose spiegazioni sulle capacità umane di compiere il male.

Alimentare il senso d’impotenza di chi vede o di chi legge sembra essere il servizio pubblico fondamentale, che nutre il nuovo senso identitario verso un nemico esterno capace di unire le coscienze collettive interne.

Sono veramente pochi i servizi che, per andare oltre il discorso della paura e della polemica che rende vulnerabili i fruitori, propongono analisi che rimettono le storie quotidiane nei contesti più ampi dei quali sono emanazioni.

Inoltre, per un’interpretazione del contesto globale interconnesso nel quale si verificano le violenze, servono chiavi diverse per leggere i significati, chiavi che consentono di mettere in discussione anche le posizioni e gli interessi occidentali.

Ad un convegno su “Gramsci, le culture e il mondo” (nel 2007) Ursula Apitzsch faceva riflettere sull’utilità di rileggere Gramsci in chiave interculturale, per ad esempio la questione politica dell’uso del velo:

“religione e appartenenza etnica non sono solo legati in maniera strutturale: molti fenomeni di integralismo religioso, come l’uso del velo (ad esempio) delle figlie delle famiglie laiche di immigrati, sono interpretati come forme di conservazione delle abitudini tradizionali. Si tratta invece di rivendicazioni di identità culturale contro la secolarizzazione forzata o l’incombere dei privilegi della religione cristiana, tipiche delle società europee, spesso incapaci di garantire la tolleranza. La dialettica del modello europeo di organizzazione secolarizzata fomenta e costringe i secolarizzati a sviluppare forme di identità culturale di matrice religiosa”.

Ecco dunque che si può leggere nelle manifestazioni delle forme esterne dell’appartenenza religiosa un discorso di resistenza a forme di esclusione sociale, che probabilmente hanno più matrici finanziarie e socio-economiche, (leggere egemoniche vs. subalterne), che prettamente religiose.

Per questo dobbiamo interrogare e mettere in discussione l’egemonia di una comunicazione violenta, subdola, insidiosa, parziale, ansiogena, che costruisce, semplifica, usa e riusa elementi identitari distanti per costruire nemici più o meno pericolosi ma verso i quali tutto diventa legittimo.

Melissa Pignatelli

Immagine di Olivo Barbieri, Flippers, 1977-78  © Olivo Barbieri a FOTO/INDUSTRIA 2023 – A cura di Francesco Zanot, Bologna, 18 ottobre – 26 novembre 2023, www.fotoindustria.it

Fonti: Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, 1975, link al libro

Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, 1971, link al libro 

Immagine: Lamia Al-Ansi su Pinterest

Fonte citata:  Gramsci, le culture e il mondo” riassunto degli interventi del convegno, link qui.

Gramsci, le culture e il mondo, convegno internazionale promosso il 27-28 aprile 2007 dalla Fondazione Istituto Gramsci in collaborazione con la International Gramsci Society Italia, organizzate in quattro sessioni di lavoro (Gramsci negli studi indiani sulle classi subalterne; Gramsci negli studi Culturali britannici; Gramsci negli studi culturali e postcoloniali nordamericani; Gramsci e Said nel mondo islamico e nel Mediterraneo), si sono incentrate su autori quali Guha, Hall, Said più che sul senso complessivo del pensiero gramsciano.

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