Pubblicato il 11 Gennaio 2024
Appunti sul concetto di intersezionalità
di Alice Manfroni
L’intersezionalità è un concetto che trova le sue origini nella storia femminista e antirazzista e consente di evidenziare le relazioni tra i diversi fattori di discriminazione. Ci aiuta a comprendere che ogni persona non può essere definita da una sola categoria identitaria e, di conseguenza, può essere oppressa o godere di privilegi per ragioni diverse. Con questa prospettiva si evidenzia come le discriminazioni riguardo a una categoria (es. genere, “razza”, classe) non abbiano lo stesso effetto su tutte le persone perché, a seconda di come queste categorie si combinano tra loro, le persone sono posizionate nella società in modo differente.
Il concetto di intersezionalità è iniziato a circolare negli ambienti femministi dagli anni ’90, tuttavia le sue origini possono essere incontrate molto prima nel movimento antischiavista statunitense del diciannovesimo secolo. Il discorso Ain’t I a woman? (Non sono io una donna?) di Sojourner Truth – Isabella Baumfree, sostenitrice dell’abolizionismo della schiavitù, tenuto nel 1851 alla Women’s convention di Akron (Ohio), può essere considerato come uno dei primi appelli per una politica intersezionale all’interno del movimento per i diritti delle donne. Altro esempio più recente è il testo del 1977 del collettivo di femministe e lesbiche nere Combahee River Collective, attivo a Boston tra il 1974 e il 1980 in cui si rivendica la necessità di tenere insieme nella politica femminista le oppressioni di “razza”, classe e sesso:
“We believe that sexual politics under patriarchy is as pervasive in Black women’s lives as are the politics of class and race. We also often find it difficult to separate race from class from sex oppression because in our lives they are most often experienced simultaneously.” (The Combahee River Collective Statement, 1977).
È stata però la statunitense Kimberlé Williams Crenshaw, docente di legge, nera e femminista a introdurre per prima il termine intersectionality, secondo cui per comprendere l’oppressione delle donne nere bisogna sempre considerare il genere e la “razza” insieme e mai separate. La problematizzazione delle interazioni tra genere, classe e “razza” verrà poi sviluppata da altre femministe nere statunitensi quali ad esempio Angela Davis, Bell Hooks e Audre Lorde e, insieme ai femminismi non occidentali, porteranno a comprendere e denunciare le complesse relazioni di potere che vivono le donne e le persone non bianche. Inoltre, le riflessioni sulla sessualità da parte dei movimenti e degli studi queer e, più recentemente, sulla disabilità hanno favorito una comprensione più complessa dell’oppressione attraverso il riconoscimento della pluralità delle categorie identitarie che si incontrano nelle diverse soggettività.
La prospettiva intersezionale permette infatti di considerare ogni problema come un insieme complesso e di tener conto dei diversi livelli e delle diverse categorie di oppressione che non si accumulano tra loro, ma si combinano e intersecano simultaneamente. Per questo motivo, la metafora più utilizzata è quella dell’incrocio di più strade, ognuna delle quali rappresenta una categoria identitaria che si incontra con un’altra senza poter creare una gerarchia tra loro.
Le riflessioni femministe sull’intersezionalità hanno quindi portato a riconoscere che ognunə di noi può essere oppressə per più di un motivo (come ad esempio, il genere, la classe, l’orientamento sessuale…), ma si può trovare allo stesso tempo dalla parte del dominio e del privilegio per altre caratteristiche. Ad esempio, se sono una donna cis bianca lesbica vivrò discriminazioni legate al genere e all’orientamento sessuale, ma avrò allo stesso tempo il privilegio della bianchezza e della cisnormatività. Capire che subire delle oppressioni (es. in quanto donne) non ci garantisce di non esercitarne altre (es. in quanto persone bianche) è un passo importante per dare spazio e visibilità alle persone che sono maggiormente oppresse.
Ma come passare dalla teoria alla pratica? È questo il passo forse oggi più difficile da fare.
Un passo che all’interno di alcuni spazi femministi e accademici si prova a mettere in pratica da tempo, con più o meno successo nel riuscirci realmente. Tuttavia, questa prospettiva può esser vista anche come un esercizio di pensiero da applicare nella nostra quotidianità come pratica di consapevolezza importante, anche se difficile. Riconoscere i nostri privilegi e le nostre oppressioni ci permette di comprendere meglio il nostro posizionamento all’interno della società e, nella relazione con lɜ altrɜ, ci può condurre a fare un passo indietro, a dare spazio ad altre soggettività e creare spazi in cui il nostro privilegio possa diventare un megafono per le voci di altrɜ che difficilmente vengono ascoltate. Ci può aiutare inoltre a leggere le politiche sociali ed economiche con uno sguardo più attento alla complessità, non solo riconoscendo l’impatto che queste possono avere sulle nostre vite, ma soprattutto sulle vite di altre persone più oppresse di noi. L’intersezionalità ci invita, infatti, a guardare le interconnessioni laddove ci abituano a pensare per compartimenti stagni e a guardare ai rapporti di potere che si ritrovano nella pluralità delle esperienze soggettive.
Pensare alle differenze in termini di rapporti di potere, di privilegi e oppressioni, ci porta a mettere in discussione l’idea che tuttɜ siamo uguali e abbiamo le stesse possibilità perché alcune persone partono da una posizione di svantaggio, a causa del colore della pelle, del genere, della classe sociale a cui appartengono… Questa visione è fondamentale per comprendere che non basta fornire le stesse risorse a tuttɜ, perché difficilmente una persona che parte da una condizione di svantaggio, legata ad esempio alla classe sociale, raggiungerà la stessa posizione e potrà avere la stessa qualità della vita di una persona che rispetto alla classe sociale si trova in una posizione privilegiata. E a questo discorso si devono poi intersecare altre linee di oppressione che possono facilitare o meno il percorso di vita di questa persona (come, ad esempio, il colore della pelle, l’orientamento sessuale, la dis/abilità). Qui sta la differenza tra uguaglianza ed equità, in cui si passa dal considerare tuttɜ uguali al garantire a tuttɜ le stesse opportunità tenendo conto delle differenze e dei privilegi.
Quando parliamo di intersezionalità non è quindi per riconoscere un elenco infinito di differenze (genere, classe, “razza”, orientamento sessuale, dis/abilità, età…) come fosse un elenco della spesa e che, purtroppo, in alcuni discorsi risulta essere posticcio e superficiale. Al contrario, utilizzare la prospettiva intersezionale ci permette di riconoscere i rapporti di dominio alla base delle differenze e mettere in pratica azioni personali e collettive per sovvertire tali rapporti. È, infatti, solo tenendo insieme la prospettiva e la pratica che tale concetto può essere efficace tanto nei contesti politici quanto nella nostra vita personale.
Alice Manfroni
Riferimenti:
Crenshaw, K., (1991) “Mapping the Margins. Intersectionality, Identity Politics, and Violence Against Women of Colour” in Stanford Law Review, Vol. 43, pp. 1241- 1299.
Davis, A. (2018), Donne, razza e classe, Alegre, Roma.
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi