Pubblicato il 12 Gennaio 2025

La favola dei tre principi di Serendippo, radice del paradigma indiziario

di Melissa Pignatelli

C’era una volta un re di nome Giaffar che aveva tre figli, i tre principi del regno di Sarandib – o Serendippo – in un Oriente che un tempo si distendeva dall’Afghanistan all’oceano indiano. Il re, un monarca il cui diadema era contraddistinto dall’ “emblema dell’orma di Adamo”, educò i figli a tutte le arti e ne fece dei bravi ragazzi; presto però volle metterli alla prova.

Prima saggiò la loro ambizione e li trovò umili e riverenti. Poi con uno stratagemma si finse adirato e li cacciò via, esiliandoli dal suo regno. Voleva, in cuor suo, che i tre figli esplorassero il mondo, che vi facessero esperienze, che vedessero i costumi degli altri per diventare adulti ancora più perfetti, e pronti per governare.

I tre principi di Serendippo entrarono così come vagabondi in un impero ancora più grande, quello dell’Oriente nel mondo. Un giorno incontrarono un uomo affannato e disperato. Costui aveva perso il suo cammello, e chiese ai principi se lo avessero visto. I tre principi di Serendippo risposero di si. Il cammelliere, sopraffatto dalla sua buona stella, chiese loro dettagli sull’animale e direzione di dove lo avessero incontrato. Per aiutarlo, i tre principi gli indicarono la via e tre dettagli sul cammello: era cieco da un occhio, gli mancava un dente e aveva una gamba zoppa. Il cammelliere confermò e corse a cercarlo.

Di lì a breve, non avendolo ritrovato, tornò sui suoi passi dai tre principi di Serendippo. Costoro, per convincerlo come stessero dicendo il vero e riportarlo sulle orme del suo animale perduto, aggiunsero altri dettagli sullo stesso: portava olio da una parte e miele dall’altra; aveva una donna in groppa e costei è gravida.

A questo punto il cammelliere si insospettì, pensò che i tre principi fossero in realtà dei ladri impostori e che fossero stati loro stessi a rubargli la bestia. Oltraggiato, andò dal re del paese nel quale si trovavano, sua maestà re Beramo, raccontò di come avesse incontrato tre uomini in possesso di sei dettagli inequivocabili sul suo animale, sostenne che costoro avessero occultato la bestia e il suo carico, e li denunciò. I tre principi furono così portati dinanzi alla corte. Nel giustificarsi dall’accusa di furto del cammello, i tre principi dissero di aver fatto una semplice burla: “Senza volere, la bugia che gli diciamo, per caso corrisponde al vero”, sostennero.

Il re rispose come ciò fosse ben improbabile, li accusò di furto e li fece portare in galera. Per loro fortuna, poco tempo dopo il cammelliere ritrovò  il suo cammello con la donna in groppa, tornò dal re e li fece scagionare.

Una volta liberati grazie ritrovamento dell’animale, i tre principi furono di nuovo portati davanti a re Beramo. Egli  non poteva spiegarsi come i sei particolari rivelati al cammelliere sul suo cammello fossero reali.

I tre rivelarono di essersi fermati qualche tempo prima d’incontrare l’uomo e di aver notato degli elementi di quella sosta. I tre avevano successivamente rimesso insieme i pezzetti in una storia che era la seguente: dal punto dove si erano fermati era passato un cammello cieco da un occhio perché aveva brucato l’erba sul lato peggiore della strada: se fosse stato vedente da entrambi gli occhi avrebbe mangiato sull’altro lato. Aggiunsero che il cammello era senza un dente perché i bocconi di erba masticati potevano passare dallo spazio di un dente; zoppo, perché la quarta orma era trascinata; poi aveva burro su un lato perché c’erano molte formiche, miele sull’altro perché c’erano le mosche, ghiotte del secondo; una donna sulla groppa per via dell’orma del piede e dell’urina, annusata la quale uno dei tre principi era stato assalito da concupiscenza carnale; infine, la donna era incinta, perché per rialzarsi dopo aver orinato si era aiutata con entrambe le mani, lasciandone l’orma.

Il sovrano fu soggiogato dalla loro ricostruzione che teneva di conto di piccole cose, tracce, dettagli e decise di tenerli con sé, cominciando a spiarli per carpire i loro segreti. Durante un banchetto i tre principi fecero altre tre speculazioni, che si rivelarono esatte: il vino che stavano bevendo proveniva da un vigneto piantato dove un tempo era stato un cimitero; l’agnello che stavano mangiando era stato allevato con latte di cagna; e il monarca, ovvero lo stesso re Beramo, non era di puro sangue nobile, perché in realtà non era figlio del vecchio re defunto. Punto sul vivo (soprattutto dall’ultima ipotesi), il re minacciando di morte i tre principi, aprì un’inchiesta per verificare quanto asserito.

Andando personalmente da sua madre, apprese da lei come da giovane essa avesse tradito il padre di molti anni suo maggiore con un suo più giovane consigliere. Dovendosi ricredere così dal procedere dell’inchiesta, il re si fece raccontare un’altra volta dai tre principi come fossero riusciti a capire “quei fatti nascosti”.

E così arrivò la seconda ricostruzione indiziaria dei tre giovani principi: il vino veniva da una vigna che prima era un cimitero perché causava mestizia in chi lo beveva; l’agnello era stato allevato con latte di cagna perché la sua carne lasciava la bocca salata e piena di schiuma; infine, un anziano consigliere era arrossito e aveva chiesto da bere durante una conversazione sui castighi per i malvagi, suggerendo così che avesse qualcosa da nascondere.

Beramo felicissimo fece ricoprire di tesori i tre principi e li rimandò finalmente a Serendippo. Il loro anziano e ormai malato padre li accolse con gioia. Dopo essersi fatto raccontare le loro storie, stabilì quanto adesso fossero “perfetti”, per aver appreso le diverse maniere e costumi altrui. Giaffer dette ai suoi figli la sua benedizione e morì sereno.

Il primogenito succedette a suo padre e governò con saggezza. Il secondo, che aveva fatto promessa di matrimonio alla regina d’India, tornò da lei. Al terzo, l’ormai anziano re Beramo, offrì sua figlia in sposa. E così a conti fatti, i tre principi di Serendippo si ritrovarono a governare i maggiori regni dell’Oriente, diffondendo così per le sue vie la loro raffinata e analitica saggezza.

 

Una prima ricostruzione della favola dei Tre principi di Serendippo di Melissa Pignatelli, è stata pubblicata su larivistaculturale.com nel Maggio 2022. Questa revisione consente una lettura più agevole del testo e del suo senso, alla base della fisiognomica.

Fonti: La favola è stata scritta dal poeta persiano sufi Amir Khosrow nel 1300 ed è presenta nella raccolta Hasht Behesht (Gli otto paradisi). La favola è stata tradotta in italiano da Cristoforo Armeno per le stampe di Michele Tramezzino a Venezia nel 1557. Horace Walpole lesse la storia di Cristoforo Armeno e la tradusse in inglese come Three princes of Serendip. Nel 1754, coniò la parola serendipità in una lettera all’ amico Horace Mann che viveva a Firenze: serendipità indicava la capacità di scoprire la verità per caso o per sagacia, basandosi sull’interpretazione di indizi, tracce, spie, sintomi alla base della fisiognomica e della deduzione logico-scientifica.

Voltaire in Zadig e Arthur Conan Doyle in Sherlock Holmes costruirono dei personaggi capaci di usare la serendipità come paradigma indiziario per conoscere la verità.  Carlo Ginzburg scrisse per Einaudi nel 1986 Miti. Emblemi. Spie Morfologia e storia nel quale ricostruì le radici di un paradigma indiziario sulla base della fisiognomica esplicitata nei Tre principi di Serendippo.  Nel 2012 Faridè Lava e Alain Lance ritraducono il testo di Amir Khosrow Les trois princes de Serendip dal persiano al francese per l’editore Hermann. Telmo Pievani ha riportato la favola dei tre principi di Serendippo in Serendipità (2021) per Raffaello Cortina editore.

 

Immagine:

Nedko Solakov e l’installazione “Amadoodles” nell’immagine ritrae particolare del lavoro realizzato per il Castello di Ama in Chianti in collaborazione con Galleria Continua 

Nedko Solakow e Slava Nakovska, Seaweeds, BASE_progetti per l’arte. Inaugurazione: mercoledì 4 giugno, dalle ore 21 Fino al 10 settembre 2003, Regione Toscana – tra arte rete regionale arte contemporanea, immagine di archivio, link qui.

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