Pubblicato il 7 Novembre 2022
Mobilità europea e africana: due modelli a confronto per una migliore integrazione
di Barbara Palla
Nell’ottica di pensare nuove politiche di integrazione europea, il geografo olandese Joris Schapedonk, nell’articolo Afrostars and Eurospaces, West-African movers re-viewing “Destination Europe” from the inside, ha proposto di considerare tutte le persone residenti all’interno dell’area Schengen, in possesso di un legale permesso di soggiorno e di un regolare permesso di lavoro, come risorse utili per far progredire il discorso sulla costruzione di una comune e condivisa identità europea.
L’interessante poroposta di Schapedonk è nata dalla rilettura della ricerca etnografica sulla migrazione giovanile intra-europea realizzata dal sociologo inglese Adrian Favell. Dall’analisi si vede come in Europa esistano oggi due tipologie di migranti: i cosidetti “Eurostars” e “Afrostars”. Con “Eurostars” Favell intende tutti quei giovani europei che hanno potuto sfruttare la scomparsa delle frontiere interne per muoversi liberamente, per motivi di studio e lavoro, nei paesi dell’Unione Europea. Con la loro elevata mobilità essi hanno contribuito da un lato a smussare le barriere culturali interne pre-esistenti e dall’altro ad avviare il discorso verso la costruzione di un’identità europea condivisa.
Con “Afrostars” Schapedonk ha individuato invece tutti quei giovani lavoratori, emigrati dall’Africa Occidentale, legalmente e stabilmente residenti nei paesi europei. Come gli “Eurostars”, essi sono molto propensi alla mobilità, sono infatti disposti a spostarsi per cogliere opportunità di lavoro o semplicemente per curiosità e volontà di conoscere nuove realtà. Schapedonk sottolinea infatti come:
“Mentre alcuni autori insistono sulla prospettiva strutturalista che vede nell’attitudine alla mobilità dei giovani lavoratori africani un gruppo di manodopera a basso costo sempre disponibile, io preferisco far emergere la mentalità see-what-happens (vediamo che succede) e la persistente aspirazione di esplorare nuovi posti come importanti driver di questa mobilità. Questa stessa mentalità, come sottolineato da Favell, è una caratteristica importante per molti “Eurostars”.
Ciononostante, l’effettivo movimento entro i confini europei degli “Afrostars” è nettamente più complesso di quello degli “Eurostars”. Gli “Afrostars” prima di potersi spostare tra paesi, e di conseguenza lavorare, pagare le tasse e contribuire al sistema di welfare, devono ottenere dei documenti che certifichino la legalità della loro permanenza sul suolo europeo. Non essendoci una legislazione unica, ogni Stato-nazione gestisce in modo autonomo queste procedure. Inoltre, i permessi di soggiorno nazionali permettono di accedere al mercato del lavoro del paese in cu isono rilasciati e non sempre vengono riconosciuti altrove.
Quindi, la mobilità degli “Afrostars” nello spazio europeo è vincolata oggi dalle differenti burocrazie e da quelle entità nazionali che gli “Eurostars” stessi hanno contribuito a decostruire dagli anni Novanta in poi.
In modo un po’ provocatorio, seguendo il ragionamento di Schapedonk, si potrebbe considerare le aspirazioni dei giovani “Afrostars” uno nuovo stimolo per una maggiore integrazione europea. In modo analogo a quanto avvenuto dagli anni Novanta con gli “Eurostars“, consentire una maggiore mobilità dei residenti non-europei nei paesi dell’Unione potrebbe contribuire a smussare le nuove barriere culturali e al contempo permetterebbe di portare avanti quel sogno europeo che ha impegnato tanti cittadini dal Dopoguerra in poi.
Barbara Palla
J. Schapedonk, “Afrostars and Eurospaces, West-African movers re-viewing “Destination Europe from the inside”, Etnografia e Ricerca Qualitativa, vol.3 anno 2017, Il Mulino.
Si ringrazia la casa editrice Il Mulino per la gentile concessione del testo.
Fotografia di Daniele Tamagni. Daniele Tamagni è stato un fotografo italiano che si è accostato alle varie culture africane con curiosità, interesse, e rispetto, “non sono assertivo” si legge nel suo sito. Tamagni ha molto amato l’Africa e ha desiderato ritrarla in modo da valorizzarla, sperando che altri possano vederne l’umanità e la forza creativa. Ha ritratto i famosi “Gentlemen of Bacongo”, di cui abbiamo parlato qui in rosa (in foto) ed ha avuto numerosi riconoscimenti. Una fondazione a suo nome valorizza il suo lavoro e sostiene giovani fotografi, link qui
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi