Pubblicato il 30 Settembre 2017
Come i referendum sfidano le identità nazionali
di Ellen Halliday
I cittadini non aspettano le elezioni nazionali o amministrative per esprimersi politicamente ma usano i referendum per votare per o contro gli operati dei governi nazionali. Questo rende pericoloso lo strumento referendario per la vita comunitaria: l’analisi degli esperti dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze.
“I referendum sono pericolosi per l’Europa”: questa è la lezione tratta, negli ultimi anni, dai tanti osservatori politici dell’Unione Europea. Per decenni, i tanti referendum nazionali riguardavano la partecipazione all’Unione o la condivisione delle sue politiche. Tuttavia, dal 2014, l’Europa è stata oggetto del voto referendario ben sei volte. Non sempre è andata bene. I referendum hanno approvato la Brexit e la restrizione sull’ingresso degli immigrati in Svizzera, entrambi incompatibili con i trattati ratificati con l’Unione Europea. Non deve stupire quindi che le domande binarie secche, tipiche dei quesiti referendari, deludano i molti in favore di una maggiore integrazione europea.
I referendum possono essere intesi come l’espressione maggiore dei principi della democrazia diretta. Proprio la democrazia è stata usata come giustificazione sia per l’organizzazione del referendum britannico sulla permanenza nell’Unione Europea che successivamente per giudicarne l’esito. Coloro che erano in favore della Brexit tacciavano di anti-democratico il sistema decisionale di Bruxelles, e per questo ritenevano di dover “riprendere il controllo”.
Diventa quindi legittimo chiedersi se i referendum siano una cosa positiva o negativa per la democrazia europea.
EUI Times (il periodico interno dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze, ndr) ha incontrato alcuni degli esperti presenti al workshop organizzato dal Robert Schuman Centre in merito alle sfide poste dai referendum all’UE.
L’Europa non è una preoccupazione primaria degli elettorati nazionali, ma i referendum possono incoraggiare la partecipazione democratica oltre i confini degli Stati membri. “Sappiamo che l’integrazione europea influenza le nostre vite. Però spesso non sono questioni che fanno parte delle agende politiche nazionali a giudicare da quello che si legge nella stampa o si sente nei discorsi politici” dice Swen Hutter al EUI Times. “E’ molto raro che i problemi europei acquistino visibilità tra i cittadini o nel grande pubblico”, prosegue. Tuttavia, fatta eccezione per il voto britannico, il recente giro di referendum riguardava le politiche specifiche che l’UE persegue in merito alla questione dei migranti e alla stabilità economica. Tutte quelle politiche intermedie, come le chiama il professor Richard Rose, che hanno una risonanza sia a livello internazionale che interno.
I referendum possono favorire l’integrazione tra politiche nazionali ed europee nelle coscienze degli elettorati, ma non nei termini che i policy maker europei vorrebbero. I cittadini europei che sono in disaccordo con le politiche sulla migrazione o le politiche economiche europee, possono in quanto votanti del proprio Stato usare la loro voce per sfidare le misure proposte. “Le persone non pensano di avere un’influenza. Si sentono parte di una democrazia senza scelte, e difatti non hanno completamente torto” dice Corina Stratulat. Il referendum può essere un mezzo per migliorare questa disaffezione, aumentare la partecipazione politica e coinvolgere i votanti in un sistema che spesso sentono distante.
Tuttavia, mentre i referendum portano le persone ad esprimersi in merito ad un determinato aspetto di una politica, non è sempre chiaro quale sia l’effettivo problema in questione. Avviene spesso che agli elettori venga data la possibilità di esprimersi su altre questioni afferenti ad altri ambiti politici, invece di effettivamente valutare una maggiore integrazione europea, per esempio, o il rafforzamento delle frontiere nazionali. Nonostante siano posti davanti ad una domanda esplicita in merito a questioni specificatamente europee, troppo spesso i governi, di per sé soggetti delle politiche, diventano invece l’oggetto di una valutazione di altro tipo. Se il voto del 23 giugno in Gran Bretagna riguardava esplicitamente la permanenza in Europa, e il voto del 4 dicembre in Italia riguardava la revisione della Costituzione, in entrambi i casi i cittadini si sono espressi in favore o contro il governo in carica. Cosa che non collimava con la domanda referendaria stampata sulla scheda.
Da un punto di vista legislativo, un referendum può essere consultivo o vincolante; da quello politico però è difficile per un governo ignorare il risultato, anche quando esso è confuso o conteso. Per Corina Stratulat, questo può rivelarsi un pericolo per la democrazia europea. “Se non non piace ciò che il governo sta facendo, o se non piacciono le politiche attuate bisogna aspettare il ciclo elettorale e votare contro” dice Stratulat. “Però deferendo il voto al popolo tramite un referendum, il risulto non può essere realmente cambiato”. Anche se possono essere non vincolanti, “è comunque un grande rischio non tenere conto del risultato” aggiunge Elias Dinas della Oxford University.
“Anche se il referendum vincola un governo nazionale, non vincola per forza l’Unione Europea” fa notare d’altra parte Richard Rose. Il governo greco lo ha imparato quando, dovendo trattare la questione del debito con l’Eurozona, l’Unione Europea non ha riconosciuto la validità del mandato ottenuto tramite il referendum. Infatti, mentre il governo britannico può ritirarsi unilateralmente dall’UE, non può obbligare la stessa a lasciare che la Gran Bretagna abbia la botte piena e la moglie ubriaca nelle relazioni post-Brexit. Se però da un lato indire un referendum sull’Europa è un gioco pericoloso, “non è di per sé negativo che le persone possano scegliere se restare o meno in Europa” insiste Swen Hutter.
I referendum nazionali sull’Unione Europea sono diventati pericolosi per la stessa integrazione perché i grandi partiti non sono riusciti a perorare la causa di una effettiva Unione, argomenta Rose. In passato, si faceva affidamento sull’accettazione passiva da parte dei cittadini delle decisioni prese a livello comunitario, si è dunque lasciato ampio spazio ad un crescente il sentimento anti-UE. “Coloro che vogliono una maggiore integrazione tendono a fare affidamento su generalizzazioni e statistiche che non si coniugano bene con le priorità e con i sentimenti degli elettori”, ha detto Rose. Nel frattempo, “l’Europa è da molto tempo un problema con una difficile soluzione, che i partiti maggioritari hanno lasciato ai radicali sia di sinistra che di destra”, ha detto Swen Hutter. Di conseguenza, il dibattito sui referendum sull’Europa è stato “dettato dalle loro obiezioni” sui fondamenti e non su come la politica influisca sulla vita quotidiana”. In questo modo gli anti-europeisti hanno sfidato con successo tutti quei partiti pronti a sostenere scelte che favoriscano l’Europa, pur sapendo che quelle scelte potevano avere ricadute negative su parti del loro elettorato nazionale. Di conseguenza, le campagne referendarie si sono mostrate solo per il loro effetto negativo nei confronti dell’Europa provocando un sentimento tale che gli europeisti non potevano più contrastare.
L’esperienza recente suggerisce che i referendum siano un gioco che gli europeisti sono condannati a perdere, ma vale la pena ricordare che questo strumento non è stato usato solo per opporsi all’Europa. “Dobbiamo riconoscere che in passato ci sono stati referendum positivi che hanno legittimato l’integrazione europea”, osserva Hutter. “ritengo che sia una caratteristica positiva della democrazia che possiamo avere un conflitto aperto e che certi problemi non vengono facilmente archiviati”.
I referendum sono rischiosi per tutti: anti-europeisti ed europeisti. Dopo la decisione in favore della Brexit, la sterlina britannica è calata sostanzialmente e anche le relazioni economiche svizzere sono state minacciate in previsione del loro referendum. Tuttavia, data la tendenza dei referendum “a promuovere una visione binaria del mondo, sono probabilmente uno strumento più comodo per i populisti”, ha detto Elias Dinas.
Sia che si pensi che i referendum siano positivi o, al contrario, negativi per l’Europa, essi hanno fatto emergere con chiarezza un’opposizione degli elettorati nazionali al progetto europeo. Gli anti-europeisti in diversi paesi come l’Italia, l’Austria e i Paesi Bassi stanno indicendo referendum che sfidano le politiche principali dell’UE che i loro governi hanno sostenuto.
Eppure “resta da vedere se e in quali circostanze i referendum saranno indetti in futuro”, ha detto Richard Rose.
Ellen Halliday
L’articolo è stato scritto in occasione del workshop organizzato dall’Istituto Universitario Europeo di Firenze il 26 e 27 gennaio 2017 dal titolo “How national referendum are challenging the EU”, le presentazioni e il video dell’evento sono disponibili a questo indirizzo.
Il presente articolo è stato tradotto dall’inglese, l’originale è consultabile qui.
Fotografia: G20 Germany: Fahnen, Kevin Hackert, 2017
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi