Pubblicato il 10 Settembre 2018
L’aspetto umano della migrazione in Africa
di Barbara Palla
Per superare i facili stereotipi e le rappresentazioni parziali, che risultano dal considerare unicamente fattori di ordine politico ed economico globale, per spiegare le ragioni che stanno dietro al fenomeno migratorio contemporaneo è necessario guardare e analizzare anche la dimensione umana. Nel capitolo introduttivo a Out of Africa Why People Migrate (Fuori dall’Africa perché le persone migrano), del Rapporto dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), Giovanni Carbone invita infatti a prendere in maggiore considerazione l’aspetto umano della migrazione ovvero tutti quei fattori che rilevano dell’ordine familiare, sociale e culturale in cui sono inserite le persone in cammino. Da questo selezionato punto di osservazione si vede come la scelta di spostarsi risulti da una serie di considerazioni personali che variano a seconda delle regioni e dei gruppi sociali più che da dinamiche strutturali.
“Recenti versioni delle teorie della transizione migratoria provano ad incorporare il ruolo della della decisione individuale all’interno di un approccio di macro-livello. Il principio centrale è che la migrazione è essenzialmente una parte intrinseca di un processo più grande di cambiamento sociale, solitamente inerente al concetto di ‘sviluppo’ e si espleta in modi non lineari. Nel processo di sviluppo e di trasformazione delle società, nuove consapevolezze, aspirazioni e asset spingono gli individui alla migrazione.
Contrariamente alle percezioni popolari, non sono i più poveri che lasciano le proprie case per cercare di raggiungere le nazioni più ricche, dato che anche minime risorse finanziarie sono necessarie per affrontare la mobilità di lunga distanza. Il maggior numero di migranti rimane tipicamente nella macro regione in cui è nato. Le disuguaglianze globali potrebbero essere infatti meno rilevanti rispetto alle reti migratorie, o ad una ‘cultura della migrazione’, nel definire gli schemi della migrazione internazionale e nel renderli auto-perpetuativi. Lo stesso concetto che sia necessario promuovere l’aiuto, l’investimento, il commercio, e altre forme di scambio tra paesi di destinazione e paesi di origine per contenere il movimento potrebbe essere fuori luogo e potrebbe addirittura provocare un aumento del volume della migrazione.
In ultima istanza, un individuo sceglie di migrare, e questo può riguardare più di altro le sue percezioni, aspirazioni e risorse, la valutazione del rischio, la diversificazione delle strategie all’interno della famiglia o gli schemi pre-stabiliti della comunità culturale o regionale a cui appartiene.”
Come si evince anche dalla lettura degli altri approfondimenti del Rapporto Out of Africa, Why People Migrate (alcuni dei quali meritano un approfondimento a parte, che faremo prossimamente) i percorsi e le reti della migrazione non presuppongono che il punto di arrivo si raggiunga con l’attraversamento del Mediterraneo; solo un numero esiguo, quasi infinitesimale, delle persone che decidono di intraprendere il viaggio si dirige effettivamente verso l’Europa. Le persone tendono infatti a spostarsi in maggior numero entro un’area geografica di appartenenza e/o un network sociale culturalmente affine ai propri.
Proprio perché in ultima analisi la scelta di spostarsi è una decisione personale, considerare la dimensione umana permette di affrontare con una nuova prospettiva un fenomeno complesso, troppo spesso oggetto di eccessiva semplificazione.
Rimettere al centro delle rappresentazioni l’uomo e il suo comportamento razionale permette di ridimensionare gli esagerati ed apocalittici scenari mediatici, restituendo così una più corretta interpretazione delle migrazioni contemporanee.
Barbara Palla
In fotografia: Centro di permanenza temporanea, Adrian Paci, 2007 © Kaufmann Repetto
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi