Pubblicato il 15 Febbraio 2019

Chi sono i vincitori e i vinti della globalizzazione?

di Davide Ficarola

Si dice che la storia la scrivono i vincitori. Ma mai come in questi tempi tale affermazione risulta meno credibile. Così come le nuove possibilità economiche e culturali hanno favorito alcuni individui, ideali élite di vincitori dei tempi, un nuovo aggregato di massa che reclama attenzioni si è imposto sulla scena: sono loro i vinti, gli sconfitti della globalizzazione. È questa la dicotomia che emerge dai lunghi studi di Hanspeter Kriesi, professore di Scienza Politica, cattedra Stein Rokkan, all’European University Institute a Fiesole, Firenze.

Frutto degli ultimi venti anni di ricerca del sociologo svizzero, la teoria riguarda una nuova frattura (cleavage) sociale dello spazio politico nazionale, principalmente dovuta ai fenomeni di globalizzazione e denazionalizzazione. L’indagine politologica, quindi, non ha indagato solo le evoluzioni della contesa politica (partiti, manifesti ideologici ed elezioni), ma anche il ruolo degli individui (o elettori, se vogliamo). È proprio su quest’ultimo che si è concentrato l’approccio di studio: l’analisi della domanda politica, dei gruppi sociali che la formano, della cultura che li contraddistingue.

Lo studio di Kriesi delinea dunque i profili di chi riesce a trarre beneficio dai fenomeni odierni e chi, invece, perde necessarie sicurezze e punti di riferimento. Allora, il vincitore della globalizzazione sarà un imprenditore o impiegato qualificato, che lavora in settori altamente professionalizzati, ha studiato e supporta relazioni internazionali. È cosmopolita, a favore dell’integrazione, tra Paesi o culture. Il vinto, lo sconfitto, è invece un responsabile o lavoratore di un settore protetto, poco o nulla qualificato, quando non è disoccupato. Si relaziona prevalentemente con la comunità nazionale, la difende dalle infiltrazioni, siano esse minacciose per le tradizioni o il territorio.

È la storia degli ultimi trent’anni, almeno. Dagli anni Ottanta ai Duemila i cambiamenti sociali sono stati notevoli: secolarizzazione, aperta competizione economica, terziarizzazione, diversificazione culturale e aumento dell’educazione, competizione politica su livelli regionale, nazionale e sovranazionale. Sono apparsi sulla scena nuovi valori non più dettati soltanto dai bisogni economici e sociali. Sono soprattutto valori culturali, post-materialisti. I cittadini ora chiedono sostenibilità ambientale, libertà sessuale, laicità e relativismo etico, oppure protezionismo, culto della difesa e dell’identità, conservatorismo religioso. Come dice Kriesi: su queste basi si poggia il nuovo conflitto culturale dei valori, il conflitto politico odierno.

Lo sfondo è, appunto, la globalizzazione: le esponenziali possibilità e libertà del cittadino, la facile connessione tra mondi sconosciuti, la scoperta dell’altro e di sé. L’apertura dei mercati come dei confini ha esposto migliaia di cittadini a enormi potenzialità di guadagno, sia esso relativo al capitale finanziario o sociale. Principio guida è stata, ed è tuttora, la libertà. Talvolta dimenticata è stata, però, la direzione etica, valoriale e culturale che un’azione libera può intraprendere. Allo stesso tempo, infatti, la quotidianità ha mostrato di continuo le sue due facce, ai periodi di crescita e benessere economico sembrano seguire crisi senza uscita. Il mondo globale sfida quello locale, più che integrarsi a vicenda armonicamente.

Con effetti sotto gli occhi di tutti, più della crisi finanziaria, soprattutto l’ultima crisi migratoria ha dato ragione alla tesi di Kriesi. In questa occasione, le giustificazioni economiche, pur sfruttate nel racconto pubblico, non hanno retto di fronte un percepito disagio culturale, facendo implodere le contraddizioni: come, d’altronde, permettere la libera – e a volte indiscriminata – circolazione di capitali e non quella di persone, seppur tra loro diversamente motivate?

È quanto mai così dimostrato che la società non è (solo) un aggregato economico di individui e famiglie, ma un gruppo sociale in cui gli individui confrontano diverse culture e richieste sociali, da cui emergono scelte politiche ed economiche. Allo stesso tempo, la suddivisione netta del conflitto in queste due ideali fazioni dei nostri tempi, vincitori e vinti, nella realtà quotidiana rischia di essere usata, e talvolta strumentalizzata, più nel versante dell’offerta politica. Ma dimenticare che si tratti di una domanda sociale non giustifica cittadini, elettori e politici a lasciarla così disattesa, senza una risposta sempre migliore.

Davide Ficarola

Davide Ficarola è laureato in Scienze Politiche e Strategie della Comunicazione Pubblica presso l’Università degli Studi di Firenze e attualmente lavora come giornalista.

Fonti per approfondire:

Kriesi, H., “The transformation of cleavage politics. The 1997 Stein Rokkan lecture in European Journal of Political Research, 1998, 33/2, pp. 165–185.

Kriesi H. et al.,” Globalization and the transformation of the national political space: Six European countries compared in European Journal of Political Research, 2006, vol. 45, pp. 921-956.

Immagine: La linea di Brandt che divide il nord ricco dal sud povero nel sito dell’UCL.

 

 

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