Pubblicato il 23 Luglio 2022

Viaggio in Lapponia d’estate: storia dei sami, il popolo delle renne

di Maurizio Karra

Per comprendere a pieno quale sia l’importanza delle renne nella cultura e nella storia sociale dei sami potrebbe essere sufficiente ricordare che per secoli sono stati proprio gli allevatori di renne a occupare, materialmente e non solo idealmente, l’apice della società civile di questo popolo in quella sorta di scala gerarchica il cui gradino più basso era invece occupato dai pescatori della costa (ancora oggi, tuttavia, fra i sami più tradizionalisti questa “gerarchia” appare palese).

Bandiera sami

Sápmi è il termine con il quale i sami chiamano la loro terra, situata in gran parte oltre il Circolo Polare Artico, nell’area più a nord dei tre stati scandinavi (in Norvegia la regione del Finmark, in Svezia la regione del Lappland, in Finlandia la regione del Lapin Maakunta) e in piccola parte anche nell’estremo lembo nord-occidentale della Russia (la provincia del Murmansk nella penisola di Kola). Si tratta di un territorio di circa 350.000 chilometri quadrati, con una densità bassissima di popolazione a causa delle temperature glaciali dei mesi invernali dovute alla latitudine (vi vivono meno di 2,4 milioni di persone, cioè 6,6 abitanti per chilometro quadrato), che confina a nord con il mare di Barents, a ovest con il mare di Norvegia e a est con il mar Bianco. Tuttavia, di questi 2,4 milioni di abitanti solo meno di centomila sono di etnia sami (e di questi quasi la metà sono residenti in territorio norvegese), mentre il resto della popolazione è di stirpe scandinava (norvegesi e svedesi), finnica (finlandesi) o slava (russi), in relazione allo stato in cui vivono, mentre il numero dei sami diventa sempre più esiguo a mano a mano che si va da ovest a est: in Russia, per esempio, il loro numero non supera i duemila, mentre un limitato numero di persone risulta essere emigrata a cavallo tra il XIX e il XX secolo nel nord dell’Islanda e perfino in Alaska. Per quanto riguarda l’Europa continentale, comunque, si tratta di un territorio che può definirsi concretamente una “nazione”, con una propria lingua, pur con molte varianti, e una cultura secolare, alla quale non corrisponde tuttavia un unico “stato”.

Al di là del periodo nel quale i sami furono costretti dagli svedesi a mettere a disposizione le loro renne per trasportare sulla costa, a Narvik (il porto più vicino), con le slitte da loro guidate e trainate dai loro animali, il ferro e gli altri minerali estratti dalle miniere attorno a Kiruna (questa “schiavitù” cessò solo con la realizzazione della ferrovia inaugurata nel 1888, detta “Malmbanan”, cioè linea di ferro), le renne hanno sempre avuto un ruolo davvero centrale nella vita dei sami, assai poco compreso e spesso mal tollerato da parte di tutti i popoli scandinavi (che a loro volta detestavano questi animali), fornendo molto più che il quotidiano sostentamento vitale alle tribù della Lapponia.

Oltre che essere utilizzate come animali da soma e come forza motrice per le slitte, non c’è ancora oggi quasi nessuna parte della renna che non venga utilizzata per i vari usi, dal latte e dalla carne per l’alimentazione alle pelli per il vestiario, i guanti e le scarpe, nonché per tenere calde le abitazioni stendendole per terra o alle pareti delle tende (la cui struttura di legno è legata con i tendini delle stesse renne), fino alle corna e alle ossa trasformate in una miriade di oggetti, in particolare utensili per il lavoro e la caccia e, più di recente, anche in pezzi di artigianato venduti come souvenir ai turisti.

È solo grazie all’allevamento delle renne, animali insensibili al freddo, capaci di sopravvivere anche in situazioni estreme e instancabili nel muoversi e nel trainare slitte anche pesantissime, che questo popolo è riuscito a sopravvivere per molti secoli; e questo spiega l’importanza sociale degli allevatori nella società sami, anche se oggi invece questa attività si è sempre più ridotta e la pastorizia delle renne viene praticata sempre meno, mentre fra i lavori svolti all’interno delle comunità sami è via via stato introdotto tutto quanto è collegato al turismo, che ha così integrato la loro economia, soprattutto sul piano femminile; non è un caso che lungo le principali strade che portano al grande nord, superato il Circolo Polare Artico, si trovino vari accampamenti sami (o qualcosa di simile, spesso solamente trappole per turisti) in cui proprio le donne gestiscono il commercio di pelli e oggetti dell’artigianato prodotti dai loro uomini o, in alcuni casi, frutto di importazione dall’oriente, anche se spacciato per manufatto originale.

La vitale importanza delle renne, animali abituati a cercarsi il cibo da soli mentre gli allevatori hanno il compito di condurli verso terreni in cui abbiano qualcosa da brucare, è confermata anche dal fatto che nella lingua dei sami (che, come abbiamo già accennato, in realtà è un insieme di dialetti che differiscono non solo fra i vari stati in cui essi vivono, ma anche da nord a sud) ci sono più di quattrocento parole relative a questo animale e alle attività a esso collegate. Inoltre vige ancora oggi nel sistema di misure dei sami un’unità di lunghezza chiamata “poronkusema”, che corrisponde all’incirca a 7,5 chilometri; è la distanza media che una renna può percorrere prima di doversi fermare per urinare nel corso dei suoi spostamenti. Né deve meravigliare il fatto che, quando gli stati scandinavi obbligarono i sami a pagare i primi tributi, gli fu consentito di pagare le tasse in natura, cioè con pelli di renna e carne dei loro animali, e questo causò un considerevole declino nella popolazione complessiva di renne e, di conseguenza, nel benessere finanziario degli allevatori.

L’allevamento delle renne, che mutano il colore dei loro occhi a seconda delle stagioni per adattarsi alla diversa quantità di luce presente e poter vedere senza problemi (in estate sono verdi e dorati, mentre in inverno diventano blu), segue un ciclo di vita annuale collegato direttamente al numero delle stagioni presenti nella cultura sami, che non sono quattro come nel resto del mondo occidentale, ma otto, e di diversa lunghezza fra loro rispetto ai nostri “normali” trimestri.

Il più lungo di questi periodi stagionali (chiamato “dálvve”) è quello che va dalla metà di dicembre all’inizio di marzo e corrisponde all’inverno artico, dove neve e buio sono padroni incontrastati del mondo come i sami lo conoscono, con temperature rigide che, come abbiamo già detto, possono arrivare a toccare i -30/-40°. In questo periodo le mandrie di renne possono pascolare liberamente all’interno di territori assegnati ai vari allevatori; il loro corpo è in grado di adattarsi al meglio al clima artico perché le renne sono animali in grado di immagazzinare acqua ed energia durante i periodi freddi e di trovare da sé il loro cibo, spostandosi a volte per giorni e giorni senza mangiare per arrivare a un possibile pascolo seguendo una renna anziana che funge da capo-branco (distinguibile anche dal grandioso palco di corna che aleggia sul suo capo), e scavando qui anche per molti centimetri con le loro zampe unghiate nel suolo ricoperto di neve fino a raggiungere la terra coperta di licheni, di cui si nutrono in questo periodo, sfruttando alla perfezione il loro potentissimo olfatto che le aiuta anche a scovare il cibo sotto la coltre bianca del “vidda”, termine che designa l’immenso oceano di neve e ghiaccio su cui vengono condotte al pascolo.

Segue, fra la fine di maggio e la prima metà di giugno, la prima estate (“gidágiesse”); è la stagione più corta dell’anno, il momento in cui la vegetazione rinasce del tutto e le bianche distese invernali lasciano il posto ai verdi pascoli in cui le renne pascolano liberamente e anche i più piccoli del branco possono imparare facilmente a nutrirsi e ad abbeverarsi nei corsi d’acqua che lo stesso scioglimento dei ghiacci produce. La seconda metà di giugno e il mese di luglio segnano la tanto attesa estate nordica (detta “giesse”), con le temperature più alte di tutto l’anno grazie anche alla luce solare che non scompare mai dall’orizzonte (il fenomeno già descritto del “sole di mezzanotte”). In questo periodo i sami raccolgono le renne nei loro recinti estivi, dove marchiano i cuccioli tagliando e incidendo il marchio dell’allevatore sulle orecchie con un coltello. Ogni allevatore ne detiene uno; si tratta sicuramente di un’usanza che molti definiscono barbara, ma è importantissima nella cultura dei sami per dirimere facilmente eventuali diatribe sulla proprietà degli animali che spesso insorgono fra gli stessi allevatori.

Altopiano vicino a Norkapp con renne al pascolo

I mesi di agosto e di settembre indicano l’inizio dell’autunno (la “jaktjagiesse”); la luce solare dell’estate lentamente inizia a diminuire, le temperature a loro volta tendono nuovamente a scendere e le renne ne approfittano per nutrirsi di tutto quanto esiste in natura per formare nei loro corpi quello strato di grasso che servirà loro a proteggersi meglio dal freddo dei mesi invernali. La fine di settembre e il mese di ottobre segnano l’avvento dell’autunno pieno (“detto “tjaktka”), periodo durante il quale avviene la transumanza al contrario, cioè verso l’interno della penisola scandinava; questi sono anche i mesi nei quali i sami macellano, una volta tornati nel territorio che li ospiterà nei mesi più freddi, alcuni maschi di renna.

Il mese di novembre e la prima metà del mese di dicembre indicano l’inizio dell’inverno (“tjaktjadálvve”); un periodo nel quale le giornate continuano visibilmente ad accorciarsi sempre di più fino a quando non giunge la notte polare e il buio totale. Questo è anche il momento in cui la neve ricopre completamente i pascoli e le mandrie di renne sono nuovamente costrette a nutrirsi scavando con i loro zoccoli unghiati sotto la coltre di neve alla ricerca di licheni e altre erbe commestibili, sempre che la neve non si trasformi in ghiaccio (impenetrabile anche alle zampe delle renne).

Accennavamo prima alle diatribe che possono insorgere fra gli allevatori; ebbene, per sedarle è stato creato un apposito corpo, la cosiddetta “polizia delle renne”, formato da una ventina di agenti in tutto, con un “commissariato” centrale che fino a pochi anni addietro era ad Alta (in Norvegia) e che adesso si trova a Kiruna (in Svezia) e con distaccamenti nelle principali città del nord della Scandinavia.

Donna sami a sandkubt

Questi speciali poliziotti, che possono essere anche non di etnia sami, vengono formati in un’accademia ad hoc per poi operare muovendosi dai loro distaccamenti locali a bordo di veloci motoslitte e fermandosi per la notte in appositi rifugi approntati appositamente per loro (detti “gumpi”), alcuni assai spartani, altri più simili a chalet di montagna, tutti comunque provvisti di giacigli o letti per dormire, di legna per il camino e di vettovaglie e cibo per prepararsi sempre qualcosa da mangiare. Sfruttandoli come tappe precise del loro girovagare, questi poliziotti (il corpo è formato sia da donne che da uomini) riescono più facilmente a pattugliare il territorio loro assegnato, che è comunque un territorio enorme, occupandosi esclusivamente di reati connessi al possesso e al pascolo delle renne, a differenza della polizia dei nativi americani che ha invece giurisdizione su tutti i reati commessi sul territorio di una specifica tribù (compresi quindi omicidi, reati finanziari, ecc.) e che è composta solamente da membri della stessa comunità.

Fra i loro compiti, oltre ai furti di bestiame, alle liti provocate da sconfinamenti di animali al di là dei pascoli assegnati o di renne che si perdono in branchi di altri allevatori (che per questo talvolta vengono abbattute per non lasciarne traccia), vi è il controllo dei movimenti delle renne nei periodi di transumanza, il controllo delle licenze di caccia, pesca e pascolo, ecc.; ma vi è anche quello di intervenire per rasserenare gli animi che si scaldano fra gli allevatori tradizionalisti (che quasi respingono il progresso e vivono in un proprio universo nel quale sembra che il tempo non passi e che nulla sia mutato da secoli), proprietari di poche decine di animali, che seguono le regole della cultura secolare dei sami nell’ambito del pascolo delle mandrie, nella transumanza e finanche nell’uso dei loro mezzi di trasporto (ancora non meccanizzati); e quelli più integrati nella società scandinava, modernizzati e al passo con i tempi, che hanno da tempo abbandonato sci e slitte trainate dalle renne per usare motoslitte, furgoni cingolati e suv, ovviamente 4×4, e che possiedono mandrie di centinaia di capi, costretti a questa scelta per coprire le spese legate alla modernità e spesso anche ai finanziamenti resisi necessari per l’acquisto e la manutenzione (assai costosa a quelle latitudini) dei loro veicoli. Un altro dei compiti recentemente assegnati a questo speciale corpo di polizia è perseguire i reati ambientali come l’abbandono di rifiuti inquinanti, magari sotto la neve invernale, che poi verrebbero ritrovati in primavera allo sciogliersi dei ghiacci, o come gli assembramenti inopportuni di turisti stranieri che a volte hanno luogo con la scusa di vivere a contatto con la natura e i sami.

Donna sami che vende pelli di renne

Ma che l’allevamento delle renne sia una cosa seria lo dimostra anche il fatto che sia in Norvegia che in Svezia questo non è consentito nemmeno a tutti i sami ma solo a coloro che sono iscritti alla “associazione degli allevatori”, attraverso la quale hanno ottenuto una speciale licenza chiamata “reinmerke”. Questa licenza, controllata dalla polizia delle renne per evitare abusi o illeciti, non è acquisibile come una licenza di caccia o di pascolo (come avviene in vari altri Paesi europei), ma viene rilasciata solamente a quei sami che possono dimostrare la discendenza da antenati (ovviamente sami) che hanno svolto anch’essi questo tipo di attività. Si tratta oggi di poco più di tremila persone, con branchi di renne che possono arrivare in alcuni casi anche a superare il migliaio di animali, ma alle quali non è cortese chiedere quale sia il loro numero poiché questo è considerato un atto indelicato, come lo sarebbe chiedere a una persona in Italia o in qualunque altro Paese quanti soldi ha nel proprio conto corrente. E mentre un tempo i sami (e le loro renne) non conoscevano confini e le mandrie potevano muoversi alla ricerca di pascoli anche fra un Paese e l’altro, oggi ognuno degli stati scandinavi ha costretto gli allevatori a non superare i propri confini, limitando così di fatto l’atavica libertà di movimento degli animali e degli uomini e sottraendo alla transumanza stagionale alcune delle “vie” che erano normalmente utilizzate.

Queste limitazioni fanno il paio con regole e norme non sempre omogenee fra stato e stato. Per esempio, a differenza di Norvegia e Svezia, in Finlandia le renne possono pascolare all’interno di pascoli collettivi gestiti da un altro tipo di associazioni di allevatori che si chiamano “paliskunta”: esistono oltre cinquanta di queste associazioni nella Lapponia finlandese e ognuna di essa può ospitare fino a un massimo di duecentomila renne.

Un’altra “strana” ma antica legge, stavolta comune a tutta l’area scandinava, consente alle renne ancora oggi (ma spesso solo in teoria!) di defecare in appositi spazi limitrofi ai palazzi comunali dei centri abitati, cosa che provoca tuttavia il risentimento degli abitanti scandinavi che non ne sopportano la puzza e per questo entrano spesso in conflitto con gli “incuranti” allevatori sami.

A livello politico-amministrativo, nel 2015 il governo norvegese ha inoltre istituito nella cittadina di Kautokeino il Centro internazionale per l’allevamento delle renne (ICR), con componenti provenienti non solo dalla Norvegia, ma anche da Russia, Svezia e Finlandia. Il compito di questo organismo è quello di contribuire al mantenimento e allo sviluppo di un allevamento di renne sostenibile nelle terre del nord Europa, rafforzare la cooperazione tra i popoli allevatori di renne, documentare e prendersi cura delle conoscenze tradizionali degli allevatori di renne e contribuire allo sviluppo e al perpetuarsi di tali conoscenze, preservandone le tradizioni e la storia per le generazioni successive.

Non deve stupire neanche il fatto che in varie città (ma anche in vari piccoli centri) della Lapponia siano stati realizzati dei veri e propri monumenti celebrativi alle renne e agli allevatori, sistemati al centro di piazze o giardini come altrove si farebbe per monumenti a sovrani, a eroi nazionali o a personaggi storici di particolare riguardo. Il più famoso di questi monumenti è probabilmente quello della foto qui accanto, realizzato in bronzo nel 1970 dallo scultore Ensio Seppänen, che si trova nella piazza centrale della cittadina finlandese di Sodankylä e che riproduce la figura di un pastore sami alle prese con una renna recalcitrante.

Né deve meravigliare che la più importante manifestazione dei sami sia la grande corsa delle renne che si tiene a Kautokeino la domenica di Pasqua, che vuole essere il simbolo della partenza degli animali per la transumanza verso la costa; un giorno talmente importante che molti giovani ambiscono anche a unirsi in matrimonio proprio in questo giorno, a margine della manifestazione che vede riunirsi nella cittadina migliaia di sami oltre che di turisti svedesi e norvegesi.

Cartelli stradali che segnalano il passaggio delle renne

Ma le renne hanno sempre avuto un posto speciale anche nei miti e nei racconti dei sami. Una leggenda narra che anticamente i sami tenevano presso le loro tende un alce, grosso animale, sgraziato, lento e pesante, che spesso disturbava le donne che dovevano occuparsi delle faccende domestiche. Un giorno, una di loro, stanca del bestione, pregò uno degli dei di sostituire l’alce con un altro animale domestico un po’ meno invadente. Il dio ascoltò la donna ed esaudì la sua preghiera mandando ai sami le renne e permettendo all’alce di ritornare allo stato selvatico nella foresta. Ma con la renna le cose non andarono molto meglio: l’animale non sopportava moscerini e zanzare che si sviluppavano in gran numero soprattutto quando i ghiacci si scioglievano d’estate invadendo la tundra; questo costrinse i sami a iniziare a spostarsi con i loro animali in cerca di nuovi pascoli ed ebbero inizio le lunghissime transumanze a cui poi tutto il popolo, insieme alle sue renne, dovette abituarsi per potersi continuare a nutrire della loro carne e del latte, a utilizzarne le pelli per vestirsi e le corna, le ossa e i tendini per costruire abitazioni e utensili.

Alcuni sami raccontano poi che un tempo esistevano solamente due renne, possedute da due sorelle. Le renne erano libere di pascolare nella natura incontaminata, ma tornavano sempre per essere munte dalle due ragazze. Mentre una sorella era gentile e si prendeva cura della sua renna, l’altra era cattiva e la maltrattava, a volte anche picchiandola. Un giorno la renna maltrattata non ne poté più e fuggì nella tundra artica senza più fare ritorno. Da allora si crede che le renne selvatiche discendano da questa renna e che le renne domestiche discendano dall’altra.

Un’altra leggenda narra che il sole possedeva un branco di renne cosmiche ed era solito farsi trainare intorno al mondo su una slitta. All’inizio dell’anno la slitta era trainata da un orso forte, rendendo il sole luminoso e potente. Ma durante il corso dell’anno egli rimpiazzò il suo orso con una renna di sesso maschile e poi con una femmina, facendo sì che il sole diventasse sempre più debole fino a svanire completamente durante l’inverno.

Vi è poi un mito che lega le renne alle stelle della volta celeste nell’oscurità della notte e che narra di un cacciatore, di nome Favtna, con l’arco rivolto verso la renna cosmica, una delle costellazioni del cielo stellato, in una caccia eterna. L’intero cielo stellato ruota per i sami intorno a questa costellazione, al centro della quale si trova la stella polare, che essi chiamano Boahjenasted, cioè “il chiodo del nord”; ebbene, questa stella nel mito sami sembra sostenere tutto il cielo, ed è come se tutte le stelle siano connesse con essa e da essa derivi il loro moto; se quindi questo sostegno si spezzasse, la volta stellata cadrebbe sulla terra. Johan Turi, uno scrittore sami vissuto all’inizio del ‘900, in un suo libro pubblicato nel 1910, riprendendo questo antico mito scrisse: «Quando Favtna con il suo arco colpirà Boahjenaste, allora il cielo cadrà e schiaccerà la terra; tutto il mondo si incendierà e ogni cosa finirà». La fine del mondo, secondo questo mito, è così legata ancora una volta a una renna, seppure cosmica, dato che quando la freccia del cacciatore riuscirà a colpirla, questa cadrà giù sulla terra e il mondo come lo abbiamo finora conosciuto finirà.

Maurizio Karra

L’autore dell’articolo davanti a un accampamento sami a Heia

Le fotografie sono pubblicate per cortesia dell’autore Maurizio Karra

Il presente articolo è tratto dal volume I Sami il popolo delle Renne, di Maurizio Karra, pubblicato a Palermo da Fotograf Edizioni nel 2021 (cod. ISBN 978-88-97988-55-7)(link qui)

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