Pubblicato il 30 Luglio 2022

Le Amazzoni e l’archetipo di un matriarcato senza androfobia. Quando in Ucraina combattevano solo le donne

di Valeria Russo

Dall’esemplarità al paradosso, lo spettro del mito è ampio. Asseconda le manifestazioni possibili e impossibili del caso. È un impasto che sintetizza esperienza e invenzione, promanando ora scorci rassicuranti, ora scenari impressionanti.

È stato anche grazie agli orizzonti ampi del mito che una delle società patriarcali del Mediterraneo – la Grecia forse dell’età preclassica – ha potuto immaginare una comunità interamente matriarcale, quella delle Amazzoni.

Un po’ europee, un po’ asiatiche, le Amazzoni vengono collocate talvolta in Persia, spesso nel Caucaso, il più delle volte nella Scizia, una regione palustre sul Mar Nero tra il delta del fiume Don e il Mar d’Azov.

Pre-ucraine, le Amazzoni sono guerriere che non assomigliano agli uomini, ma donne la cui femminilità viene ricalcolata nei suoi connotati. La metamorfosi è un’impronta sul loro corpo il cui primo segno si scorge nel nome (in greco αμαζών) che, malgrado i dubbi etimologici, la tradizione interpreta come “senza seno”. Perché l’arco venisse teso verso il petto sul cavallo al galoppo, era necessario che la mente si esercitasse nella precisione del tiro e che il fisico si adattasse al movimento evitando l’intralcio della mammella destra. Che fare, se non bruciarla, amputarla, cancellarla? La trasformazione si è compiuta.

Diversamente da altri capitoli della storia antica, le Amazzoni non sono legate a un solo evento, ma incarnano un’idea trasmessa all’ombra di un’immagine che resta fissa e codificata finché non viene raccontata e, di conseguenza, caricata di nuovi sensi.

Ecco, quindi, il mito che prende forma e sostanza, assorbito dalla narrazione che lo anima e lo rende quadro vivente carico di significati diversi e di valori ogni volta nuovi.

Ecco, quindi, il mito apparire nell’Etiopide (poema epico post-omerico): c’è un temibile esercito di donne che sfonda un muro di scudi, scompagina una falange, infilza con frecce e lance i soldati. Sono le Amazzoni al fianco dei Troiani nel conflitto contro gli Achei.

Si muove, sotto il filo degli eventi narrati, il senso angoscioso di un ribaltamento dell’ordine, dove l’esercito greco assiste alla trasmutazione della donna-madre nella donna-morte. Personificazione di un potere totale sulla vita, incarnazione di tutte le facoltà del divino sull’esistenza. Non è divino il sentimento che le anima, però, né si tratta di una ricerca autoreferenziale della gloria nella morte dell’altro. La guerra la fanno per un’urgenza iperumana: è la fame di vita e di vendetta.

All’origine, infatti, si racconta di un popolo di donne e di uomini. Le mogli restano a casa, i mariti partono in guerra. Per uno sbaglio nella strategia bellica o per una congiuntura astrale funesta vengono sterminati. Questo è il destino anche dei figli maschi, incaricatisi di vendicare i loro padri. Senza mariti e senza prole di sesso maschile, le Amazzoni si ritrovano tra sole donne. Da qui, decidono di armarsi per vendicare – stavolta con successo e in maniera definitiva – il sangue fatto versare al proprio popolo. Ma non si fermano qui: imparano a vivere senza reintegrare la componente maschile nella propria società. È come se, dichiarando un lutto perenne e uno strappo irreparabile alla propria realtà, insorgessero contro la staticità dei sistemi normati.

La leggenda si svincola rapidamente dalla letteratura greca, valicando le frontiere, i secoli e i paradigmi culturali.

La ritroviamo in Francia nel 1488, in una cronaca universale. Si tratta di un manuale di storia costruito alla maniera medievale, dove si intrecciano e confondono il passato biblico con quello dell’universalità umana, cioè di quella piccola umanità che popola il Creato secondo la mentalità di un uomo occidentale del XV secolo (per cui l’India, ad esempio, esiste quasi solo attraverso le campagne militari di Alessandro Magno e nell’espansione del culto di Dioniso). È in questo testo, la Mer des histoires, che, come in numerosi altri testi, emerge un dettaglio sulla sostenibilità del modello mono-generico. Degli uomini sono accolti presso le Amazzoni solo in occasione del concepimento. Poi, tra la prole, le madri-guerriere allevano personalmente solo le figlie femmine, esercitandole sin dall’infanzia all’arte della guerra. I figli maschi, altrove assoluta garanzia patrimoniale, vengono restituiti ai padri.

Eroine spaventose ma positive, indomite, violente, ferite, fuori dalle norme della società, creatrici di nuovi ordini, quindi non solo madri ma fondatrici di città (Efeso, tra le altre) e iniziatrici di civiltà. Svincolate dall’uomo, non androfobe, bensì fedeli e leali. È proprio la lealtà che caratterizza l’ultima manifestazione tangibile del mito: sono le Amazzoni africane del Dahomey, quel reggimento militare femminile esistito fino agli ultimi anni del XIX secolo. Bernardine Evaristo in Girl, Woman, Other (Grove Atlantic USA, 2019) le descrive come “women […] who became the palace guard because men couldn’t be trusted not to chop off the king’s head or castrate him with a cutlass while he slept” (p. 24). Donne responsabili della vita, garanti della sopravvivenza, capaci di proteggere l’uomo e di uccidere uomini.

Valeria Russo 

Immagine:

Berlinde De Bruyckere, Actaeon (Beijing) IV, 2012, 2012, wax, wood, epoxy, iron, 146 x 320 x 80 cm, Photo Oak Taylor-Smith, Courtesy Galleria Continua

Condividi l'articolo sui tuoi Social!

SOSTIENI




Ultimi articoli