Pubblicato il 13 Gennaio 2023
Raccontare, una storia femminile
di Melissa Pignatelli
In Tu che mi guardi, tu che mi racconti (Castelvecchi editore) Adriana Cavarero racconta la sua comprensione della differenza sessuale: la vita sarebbe un insieme di storie che aspettano di essere raccontate o narrate da chi, con amore, si china sul nostro tracciato, ne coglie i segni e li trasforma in un racconto che ci rende protagoniste: ma perché questa trasformazione ha bisogno di un autore? E “perché il significato dell’identità è sempre affidato al racconto altrui della propria storia di vita?”
La narrazione è un’attività prevalentemente femminile, fatta di tessitura, di pazienza, di osservazione e di trasformazione; un’arte che rende unici dettagli e particolari, e che secondo Francesca Di Donato, la filosofia astratta, maschile, di Platone ha messo in secondo piano:
“Adriana Cavarero critica la tradizione del pensiero da Platone in poi che ha cancellato l’individualità del soggetto a favore della definizione universale: è proprio Platone che con la sua filosofia ha stabilito il primato dell’astratto (universale) sul narrato (concreto, particolare, unico). Platone, attaccando la poesia e la tradizione orale con a capo Omero, ha dato origine ad una tradizione basata sull’universale che ha inglobato, annullandolo, il singolo nella sua unicità. Nell’opera di Platone, infatti, ogni figura di donna si trova a giocare un ruolo il cui senso appartiene ai codici patriarcali che glielo hanno assegnato. E così, nel quadro universale, la sessuazione non conta.
L’universale infatti, non potendo prevedere in sé che un unico canone, si è ridotto al maschile e ha prodotto il duplice effetto di negare il soggetto donna, perché ha negato in sé il soggetto, occupandosi di questioni astratte e tralasciando le persone concrete. Negare il simbolico femminile, perché il prevalere del modello maschile basato sulla razionalità subordina i valori del femminile e in primo luogo il materno. Anche l’attività del raccontare storie, negata da Platone, è un’attività tipicamente femminile che si fonda sul rapporto di desiderio che lega chi racconta a chi vuol essere raccontato; il rapporto d’amore che unisce il narratore e il protagonista della storia, è una riprova del fatto che l’unicità del chi ha sempre un volto, una voce, uno sguardo. Il racconto è in grado di restituire al soggetto (donna) la propria identità (sessuata)”.
“Il passaggio dal discorso orale a quello scritto, identificati rispettivamente con Omero e Platone, è una tragedia maschile” spiega la Di Donato, “la scissione tra l’ordine discorsivo della narrazione e quello della filosofia ha negato senso al racconto. Il raccontare e il raccontarsi, come riconoscimento dell’altro e della sua differenza, sono forme di altruismo e passaggi necessari a conoscere la propria identità. Fra identità e narrazione, sostiene la Cavarero, c’è un forte rapporto di desiderio. E cosa desidera il desiderio? Il racconto della sua storia, la sua cicogna”.
“Migratrice dalle larghe ali e volto benigno di un mistero, non si sa da dove venga, né da dove vengano i bambini che porta o le fiabe che racconta. La cicogna non “fa” ma porta, trasporta, tramanda. E’ una narratrice, non un’autrice. Come Karen Blixen, essa è una storyteller: racconta storie”, si legge nel saggio della Cavarero.
E come tutte noi, amiche, mogli, compagne, mamme, amanti; donne; raccontiamo storie, mettiamo insieme i dettagli lasciati dalle vite degli altri, a volte rimaniamo in disparte, per ascoltare, consolare, addormentare, cullare, accogliere, rendere protagonisti gli altri.
Melissa Pignatelli
Adriana Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Castelvecchi Editore, 1997
Francesca Di Donato, Il Paradosso di Ulisse, analisi di Tu che mi guardi, Tu che mi racconti
Dipinto di Henri Matisse, L’artista e la sua modella, 1919, Dominio pubblico link qui
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi