Pubblicato il 2 Aprile 2023
Il futuro della cultura corsa fra identità e integrazione
di Maurizio Karra
La Corsica è ai giorni nostri una tra le regioni più povere della Francia, alla quale è legata politicamente da quando, nel 1768, una rivolta popolare non costrinse i genovesi, che ne amministravano il territorio dal 1312, a cedere l’isola (peraltro molto più vicina alle coste italiane) ai francesi. Ma, per quanto si stia parlando di una regione della Francia e non di un possedimento parigino d’oltremare (come la Guyana francese, confinante col Brasile, o le isole di Guadalupe, Reunion o Martinica, fra Caraibi e Oceano Indiano), la Corsica rimane una terra estranea e “distante” rispetto alla Francia continentale, culturalmente lontana da una patria che non è mai stata considerata dai corsi come una “madre” (tutt’al più come una matrigna); sentimento ricambiato ampiamente dagli stessi francesi che, come accaduto anche da parte di tutte le potenze dominanti che li hanno preceduti sull’isola, l’hanno considerato sempre a loro volta alla stregua di un territorio coloniale o poco più, da sfruttare e usare ai propri fini più che da tutelare e valorizzare.
Il sentimento indipendentista ha quindi alimentato da secoli la cultura del popolo corso, concretizzandosi nelle continue rivolte e ribellioni contro tutti i dominanti di turno; e per quanto la fase “militare” di questa lotta indipendentista sia da qualche anno venuta meno, il nazionalismo rimane ancora oggi nel DNA dei corsi, come si evidenzia dallo sventolare per le strade o sui balconi delle tante bandiere corse e dall’uso abituale di una lingua, il corso, che è sempre stato l’elemento identitario di una cultura per troppo tempo affidata tuttavia all’oralità.
Per di più i corsi rimangono legati a un principio fondamentale, che diventa il principio dei principi: l’onore. Si tratta di un principio che sta alla base della cultura di quest’isola, di un sentimento fondamentale, acquisito fin dalla nascita e che quindi determina la consapevolezza dell’integrità, sia a livello individuale che etnico. Ogni corso, appartenendo a una famiglia e a un villaggio, nasce con un capitale simbolico (il suo onore) che gli conferisce immediatamente «il diritto ad altri diritti», come l’ha definito Jacques Gil (in “Corsica tra libertà e terrore” – Parigi, 1991).
Oltre all’onore individuale, c’è ovviamente un onore familiare, che si trasmette di generazione in generazione come un patrimonio inviolato, e anche un onore di villaggio e un onore nazionale. È in questo onore, tutto corso, che si nasconde la forza di coesione che unisce le varie parti della società corsa e che le dà la capacità di resistere da secoli alle forze centrifughe alimentate dall’esterno, anche se si è costretti a emigrare oltremare.
La verità è che la Corsica rimane ancora oggi terra di emigrazione, nonostante l’aumento demografico registrato dalle statistiche ufficiali, anche se i corsi, come tutti gli isolani del Mediterraneo (a partire dai vicini sardi e siciliani), nel momento stesso in cui si trovano costretti ad andare via dalla loro terra per sopravvivere e avere un futuro migliore, vi rimangono poi attaccatissimi sentimentalmente. D’altronde, la francesizzazione è rimasta abbastanza superficiale un po’ dappertutto, se si fa eccezione per Ajaccio: è come una vernice apposta senza fissativo, pronta a disgregarsi al minimo segno di tensione. E di motivi di tensione, come accennato, ce n’è (e ce n’è stata) sempre assai fra corsi e francesi, così come, in passato, fra corsi e genovesi.
Semmai, come ha scritto Giovanni Ansaldo (in “La Corsica”, sul portale “Liberale-Erasmo”), l’emigrazione non giova tanto a gallicizzare l’isola, quanto a legarla alla Francia per mezzo delle colonie di corsi formatesi sul continente: fin dal periodo a cavallo fra la fine del XVI secolo e l’inizio del secolo successivo, infatti, i corsi emigravano soprattutto a Marsiglia, dove ancora oggi vivono trentacinque-quarantamila isolani, o a Livorno e in tutta l’area tosco-ligure, e colonie corse si trovavo anche in tutto quello che è stato in passato l’impero coloniale francese.
Siamo di fronte a una vera “diaspora” corsa in tutto il mondo, valutata in altre duecentomila persone almeno, con una compattezza di queste “colonie corse” fortissima, dove è sopravvissuta la politica e la cultura dell’isola, dove in sostanza i clan isolani sono stati trapiantati con le loro prerogative e le loro rivalità e dove tuttora vigoreggiano; tanto più, quanto più i corsi sono stati in grado di riunirsi in una “contrada” ristretta, facendo rinascere così il loro villaggio d’origine, similmente a quanto accadde per esempio con gli immigrati del sud d’Italia o delle parti più povere del nostro nord-est che, andando via dalle loro terre, scelsero di ritrovarsi tutti insieme nel quartiere di Little Italy a New York o a Rosario in Argentina o ancora nel quartiere di Italian Precinct a Melbourne, in Australia.
La cultura delle origini anima tutte queste associazioni locali e ovviamente non fanno eccezione quelle di emigrati corsi, deputate per esempio a organizzare ancora matrimoni fra i giovani della comunità, quasi «per rallentare il più possibile la miscela dei sangui», sempre secondo Ansaldo.
L’associazionismo corso al di fuori dell’isola natia è anche uno dei maggiori strumenti di conservazione della lingua e delle tradizioni degli emigrati, che così tentano di resistere meglio alla francesizzazione: tutto contribuisce a questo risultato, le inimicizie come la omertà, la solidarietà fra gente dello stesso clan, come le vendette.
Ovviamente, come accade con tutti gli emigrati, anche quelli corsi tornano ogni tanto nella loro isola, soprattutto per le ferie o, in molti casi, quando lasciano il lavoro per andare in pensione. Quando tornano per le vacanze estive tendono a riassorbire, pur nell’arco di qualche settimana, insieme all’aria di casa, quanto più possibile tutto ciò che è parte delle loro origini, incontrandosi con parenti e amici, partecipando alle feste patronali o alle altre manifestazioni che soprattutto nel periodo feriale si organizzano da parte delle confraternite locali sul territorio (un’istituzione fondamentale per la conservazione della cultura corsa), ma anche predisponendo e gestendo affari o sistemando questioni in sospeso.
E quanto più avvertono la lontananza dal loro mondo abituale, tanto più rinfocolano quei rapporti che sentono interrotti loro malgrado per gran parte dell’anno proprio dalla forzata lontananza; e più questi legami si fanno intensi anche per brevi periodi, tanto più la loro difesa della “corsità” assume coscienza e forza, animando e dando ulteriore vigore anche a quella di coloro che sono rimasti nell’isola.
Uno degli strumenti del rinforzarsi di questi legami passa proprio dalla strenua difesa della lingua, che ovviamente trova maggiore rispondenza nel cuore della gente più umile e di minore istruzione, ma per tutti l’uso della lingua corsa si accorda perfettamente con la diffidenza contro il “pinzuto” del continente, cioè il natio francese. La difesa della lingua delle passate generazioni diviene per tutti i corsi, sia al momento del loro momentaneo rientro sull’isola, che anche nel corso degli incontri fra famiglie corse nella città di residenza abituale, la più importante scommessa sul futuro della loro “razza” (già, perché spesso i corsi parlano proprio di “razza corsa” in vari contesti). Per loro si tratta di una battaglia che non possono perdere in alcun modo. Per questo i corsi insistono spesso sulle ragioni di questa loro resistenza, intima e mistica prim’ancora che politicamente organizzata, alle forze del vasto mondo che minacciano di travolgere e di schiacciare l’individualità della loro “nazione”.
Si tratta di un universo di valori che ancora pochi comprendono fra coloro che approdano per qualche giorno nell’isola, ma che appare irrinunziabile a questo popolo, fiero e orgoglioso, che non ha mai rinunziato alla propria indipendenza, quanto meno a quella culturale, dato che alla fine non è stato mai in grado di raggiungere veramente, a lungo e definitivamente, quella politica.
Maurizio Karra
Alla storia, al territorio, alla società, alle tradizioni e all’identità di questo popolo, le cui istanze di autonomia sono disattese da secoli, è dedicato l’ultimo volume di Maurizio Karra: “I corsi. Un popolo da sempre in lotta per la propria indipendenza” (Edizioni Fotograf – ISBN 978-88-97988-64-9)
Immagine: La placca commemorativa di Pasquale Paoli a Londra
CC- Wikimedia Commons: General Pasquale Paoli 1725-1807 who fought tirelessly for the freedom of Corsica lived in a building on this site, Belgravia, London
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi