Pubblicato il 22 Novembre 2023

Amazzonizzare lo sguardo

di Gabriele Grieco

Nelle leggende amazzoniche, il delfino rosa è descritto come un giovane seduttore che si infiltra nelle comunità durante alcune feste religiose, sceglie una ragazza e la conduce nei bassifondi dei fiumi ingravidandola.
Il celebre pesce pirarucu, d’altro canto, è considerato il risultato della trasformazione di un indigeno che, in tempi antichi, fu punito con la metamorfosi in un pesce a causa della sua avidità e delle sue azioni malvagie. Come in ogni mito, questi racconti svelano uno schema di valori distintivo e una relazione fondamentale tra l’uomo e l’ecosistema circostante, posizionando l’essere umano come un elemento interconnesso in un contesto complesso, fatto di esseri vivi che indipendentemente dalla propria specie non occupano un posto privilegiato, né, tantomeno, subalterno. In Amazzonia esseri umani e non-umani dipendono l’uno dall’altro in una condivisione fatta di esperienze, fluidi e vita*.

Nel frattempo, il giovane indigeno ormai pesce e il delfino seduttore si possono vedere scarnificati sui margini dei fiumi prosciugati dal caldo estremo. Quest’anno una siccità storica ha portato morte e distruzione in Amazzonia, dove delfini, ribeirinhos*, indigeni, pirarucu e tutti gli altri esseri che compongono questo grande popolo-foresta soffrono per primi le conseguenze apocalittiche dello sfruttamento violento del territorio-mondo di cui fanno parte. La causa della seccità risiede nella deforestazione che negli ultimi anni ha accelerato il ritmo sotto il nome di “progresso” e “sviluppo economico”. Al posto della foresta vengono piantati campi di soja, mais e installati allevamenti bovini. Altri radono al suolo alberi per ricavarci legno, mentre gruppi illegali di minatori raschiano la terra lasciando enormi voragini che assomigliano a ferite profonde sulla pelle della foresta: “La deforestazione accelerata ha portato meno vapore acqueo nell’atmosfera. Sul lato ovest dell’Amazzonia, il più conservato, la perdita di precipitazioni nella stagione secca, che si verifica attualmente, è già del 20% (link qui).”

La profezia yanomami che racconta “la caduta del cielo” è ormai evidente a tutti: “Se i bianchi cominceranno a devastare il padre del metallo dalle profondità della terra….presto non resteranno che pietre, sabbia e macerie. La terra sarà sempre più fragile e tutti cadremo nelle profondità del suolo.*”

Parlando di risorse, è cruciale distinguere il significato che i popoli originari attribuiscono alle risorse intese come fonte di produzione (di capitali economici, progresso e sviluppo economico) dalla visione occidentale: i nativi non sfruttano il territorio per produrre beni materiali, come oro, legna o soia, bensì per “riprodurre” un capitale unico, radicato nella cultura e nella società, tramandato di generazione in generazione. In questo passaggio generazionale, ciò che interessa a una parte più democratica della società brasiliana è la conoscenza specifica essenziale non solo per la vita nei vari biomi del paese, ma per l’intero globo. Queste conoscenze sono fondamentali per mantenere in piedi le foreste, conservare la fauna e la flora del Cerrado e della Mata Atlantica, e curare le rive dei fiumi e dei bacini d’acqua per la regolazione del clima: le conoscenze autoctone o ancestrali. Solo i popoli indigeni, custodi di questi luoghi da millenni, possono preservare e mantenere il mondo così come lo conosciamo.

Studi recenti mostrano che la riduzione delle emissioni in atmosfera e la regolazione delle temperature sono in gran parte dovute all’aumento delle terre indigene riconosciute e legalizzate dal governo:

“Gli alti indici di preservazione rivelati dallo studio sono il risultato del complesso di conoscenze e pratiche dei Popoli Indigeni e Tradizionali nel maneggiare le foreste. Secondo Antonio Oviedo, coordinatore del Programma di Monitoraggio dell’ISA, questo risultato è possibile solo perché questi popoli hanno forme di convivenza con la natura che riflettono l’essenza di qualsiasi strategia di conservazione ambientale (link qui).”

Le conoscenze dei cosiddetti popoli tradizionali – indigeni, quilombolas e ribeirinhos – rappresentano una concezione dell’ambiente diversa da quella occidentale, evidenziando una forma ecosostenibile di convivenza con la natura. Perciò non è il “maneggiamento” delle foreste ad essere importante, quanto piuttosto la prospettiva di questi popoli, a fornire una via d’uscita dalla cecità che affligge la “società moderna”.

La terra non esiste solamente nella dimensione della sussistenza e manutenzione della nostra vita, ma anche nella dimensione trascendente che dà significato alla nostra esistenza.” Per questo motivo la risorsa-foresta non è un prodotto ma una mente pensante, soggetto di diritto, che intrattiene una relazione di scambio con le altre menti che la abitano, e che ne permette, allo stesso tempo, i legami.

In Brasile, la questione ambientale e sociale sono due facce della stessa medaglia. L’impegno nel combattere disuguaglianze sociali, razzismo e violenza è lo stesso sforzo dedicato alle problematiche ambientali. Resta il dovere da parte della comunità internazionale di mettere al centro quei valori che, insieme a determinate pratiche che riteniamo sostenibili, siano capaci di oltrepassare le frontiere della specie e i confini dell’umanità, poiché l’orologio del giudizio finale sta segnando le ultime ore, mentre i popoli-foresta stanno cercando di tenere le radici del cielo saldamente ancorate al suolo su cui tutti camminiamo.

Gabriele Grieco

Fotografia: Opera di Jaider Esbell, link

*1  vedi manifesto di “SUMAUMA JORNALISMO”: https://sumauma.com/quem-somos/

* 2 Comunità di pescatori che vivono ai margini dei fiumi.

*4 Kopenawa, D. Albert, B., A queda do ceu, 2015

*5 Kopenawa, D. Albert, B., A queda do ceu, 2015.

*6 Comunità considerate tradizionali in Brasile, esse sono formate dai discendenti di schiavi africani riusciti a fuggire dalle colonie della corona portoghese in Brasile durante il periodo della schiavitù

*7 Krenak, A., 2019:22.

Bibliografia:

Kopenawa, D., Albert, B., 2015, A queda do céu, Companhia das Letras, São Paulo.

Krenak, A., 2019, Ideias para adiar o fim do mundo, Companhia das Letras, São Paulo.

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