Pubblicato il 20 Dicembre 2023
Cosa diventa storia? Nonostante Tucidide, la storia come cultura
di Melissa Pignatelli
“Gli occhi della Storia ci guardano”, ha affermato recentemente il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres commentando la guerra in corso nella Striscia di Gaza che ha coinvolto l’opinione pubblica internazionale e riportando così una prospettiva storica complessa sulle azioni singole del presente. In effetti, a ripensare quest’affermazione densa di significati che si ramificano nelle posizioni dei 193 paesi del mondo, che siedono insieme, per osservare gli scontri in una terra sacra tre religioni monoteiste (il Cristianesimo, l’Ebraismo e l’Islam), vien da interrogarsi sul passato, sul senso del presente e su come funziona in effetti lo sguardo della Storia.
Che cosa viene ascritto nei libri delle memorie delle azioni collettive? In un libro appena pubblicato in italiano Nonostante Tucidide, la storia come cultura (Eleuthèra, 2023), Marshall Sahlins ha argomentato che gli eventi selezionati secondo la storiografia classica sono stati mondati dei loro rami più umani per permettere ad un concetto universalistico ad esempio di “storia greca” e di “natura umana” di espandersi. Ma in realtà si sarebbe dovuto procedere proprio all’inverso analizzando cioè tutto quello che era distintamente greco nel modo di essere, proprio per ricostruire l’oggetto delle peculiarità della storia greca, come per esempio il meraviglioso o il fantastico. Ma così non è stato e la storia (nella cultura occidentale) si scrive con ciò che resta “oltre la natura umana”, in maniera “secolare e universale” per Tucidide, ed è una “cosa degli uomini” che risponde al loro “desiderio” di “avidità e potere”.
“Per essere più precisi, delle tre libido agostiniane – concupiscenza, avidità e potere – che hanno dominato la nostra antropologia nativa per millenni, Tucidide si concentrò sull’avidità e sul potere. Il sesso è stato ampiamente trascurato, così come le donne, quasi del tutto assenti”. “Ecco quindi la brillante origine dell’infelice coscienza occidentale della storia come espressione del peggio di noi”
Se vi state ancora domandando come si scrive la storia, che cosa la compone, che cosa farà parte della narrazione del nostro tempo per le generazioni future ecco dunque che una lettura di Sahlins porterebbe ad una riflessione quantomeno critica dei valori contemporanei per una riapertura del dibattito che possa ricomprendere tutte quelle pratiche culturali ascritte da Tucidide a contingenze come “la parentela, l’amicizia, l’appartenenza etnica, l’impero e le istituzioni sociali tradizionali in generale, la legge, la morale, l’onore, i trattati e la giustizia in generale, gli dèi, la sacralità e la religione in generale; e non ultimo il linguaggio, il significato delle parole in generale” che nulla possono in confronto agli interessi personali e ai desideri dell’uomo (sempre secondo Tucidide).
Leggiamo dunque un estratto del libro Nonostante Tucidide, La storia come cultura di Marshall Sahlins (Eleuthèra, 2023) nel quale Shalins riporta il Dialogo dei Melii e degli Ateniesi nel quadro della guerra del Peloponneso che oppose Atene e Sparta e che viene guardata come l’inizio della storia occidentale:
Storiografia della natura umana (pp.145-149)
Melii: E come potrebbe rientrare nel nostro interesse l’asservirci, così come è nel vostro assoggettarci?
Ateniesi: A voi capiterebbe di divenir sudditi invece di incorrere nella sorte più atroce; e sarebbe nostro guadagno non avervi distrutto […].
Melii: Anche noi, siatene certi, riteniamo impari lotta combattere contro la vostra potenza, e contro la sorte, se non sarà imparziale. Ma abbiamo fede che, quanto alla sorte, gli dèi non vorranno la nostra sconfitta, perché in ossequio alle loro leggi insorgiamo contro chi viola la giustizia; e abbiamo fede che alle nostre forze insufficienti si aggiungerà l’alleanza di Sparta; la quale – necessariamente – ci aiuterà, se non altro per i vincoli della stirpe e per il proprio onore […].
Ateniesi: Le nostre opinioni sugli dèi, la nostra sicura scienza degli uomini ci insegnano da sempre, per invincibile impulso naturale, ove essi uomini o dèi, sono più forti, dominano. Non siamo noi ad aver stabilito questa legge, non siamo noi che questa legge imposta abbiamo applicati per primi. Era in vigore quando ce l’hanno trasmessa e per sempre valida la lasceremo noi che la osserviamo con la coscienza che anche voi, come altri, ci imitereste se vi trovaste al nostro grado di potenza. Quanto agli dèi, sono questi i logici argomenti per cui non temiamo che vogliano la nostra sconfitta […]. Gli Spartani, per ciò che riguarda loro direttamente e le leggi de loro paese, agiscono secondo i più alti ideali. Ma sui loro rapporti esterni ci sarebbe molto da dire, e in ultima sintesi risulterebbe che nella maniera più indiscutibile, tra tutti i popoli che conosciamo, essi giudicano onesto ciò che loro è gradito, e il loro interesse lo chiamano giustizia (Tuc. v.92-93, 104-5).
Questi stralci del famoso Dialogo dei Melii e degli Ateniesi darebbero forza all’affermazione che Tucidide è il vero padre della storia, quella occidentale. «La prima pagina di Tucidide, secondo me, segna l’inizio della vera storia», ha scritto David Hume. «Tutte le narrazioni precedenti sono talmente intrise di leggenda che i filosofi dovrebbero abbandonarle, in gran parte, all’elaborazione di poeti e oratori» (1985: 422). Era un elogio appropriato da parte di un filosofo che credeva che «in tutte le nazioni e in tutte le età […] la natura umana resta sempre la stessa nei suoi principi e nelle sue operazioni […]. L’umanità è tanto la stessa, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, che la storia non ci informa di nulla di nuovo o di insolito a questo proposito» (1975: 83). Da ciò si potrebbe arrivare alla conclusione che Tucidide sia stato tanto l’inizio quanto la fine della storia, avendo già identificato l’implacabile interesse personale che i filosofi occidentali illuminati, da ben prima di Hume e fino a oggi, hanno considerato la molla universale dell’azione storica. Per essere più precisi, delle tre libido agostiniane – concupiscenza, avidità e potere – che hanno dominato la nostra antropologia nativa per millenni, Tucidide si concentrò sull’avidità e sul potere. Il sesso è stato ampiamente trascurato, così come le donne, quasi del tutto assenti. Ed era la paura il tratto della natura umana che Tucidide più avversava (anche in questo caso si può capire da chi Hobbes abbia preso l’idea).
Ecco quindi la brillante origine dell’infelice coscienza occidentale della storia come espressione del peggio di noi (Orwin 1988: 832). Ci sono stati molti dibattiti su altri aspetti della storiografia di Tucidide. I classicisti sembrano aver detto quasi tutto quello che si poteva dire su di essa, compreso il suo contrario. Tucidide era pragmatico e mitologico, oggettivo e soggettivo, poeta in prosa e storico scientifico, moralista e realista amorale, uomo del suo tempo, modernista prima del tempo e, perché no, postmoderno (Connor 1977). Tuttavia, sui due principi cruciali che tanto hanno attratto Hume, Hobbes & Co. – l’intenzione di scrivere una storia di rilevanza universale e il rimando dell’azione storica a una natura umana autoconsapevole – c’è stato un ampio accordo sulla storiografia di Tucidide. Vorrei solo aggiungere che una storia basata su tali fondamenti è decisamente anticulturale e, nella stessa misura, antistorica. Il rimando alla natura umana svaluta la costruzione culturale delle forme di vita umana. Se Tucidide è stato il vero padre della storia, allora la storia è cominciata sottraendole la vera antropologia. O, per riprendere le parole di Tucidide stesso, è iniziata con l’eliminazione del meraviglioso, al fine di rendere la sua storia rilevante per tutti i tempi, a condizione che gli uomini siano ciò che naturalmente sono:
E forse la mia storia, spoglia dell’elemento fantastico, accarezzerà meno l’orecchio, ma basterà che la giudichino utile quanti vorranno sapere ciò che del passato è certo, e acquistare ancora preveggenza per il futuro, che potrà quando che sia a ripetersi, per la legge naturale degli uomini, sotto identico o simile aspetto. Sicché quest’opera è stata composta perché avesse valore eterno, più che per ambizione dell’applauso dei contemporanei nelle pubbliche recite (i.22.4).
Le modeste ambizioni intellettuali di Tucidide prevedevano una doppia umanizzazione della storia, la secolarizzazione e l’universalizzazione, che egli poi confuse anche se non necessariamente l’una implica l’altra. Eliminando il «fantastico», Tucidide intendeva sbarazzarsi dell’intervento divino come causa degli eventi storici. Voleva rendere la storia comprensibile in quanto creazione umana, e per questo è stato molto celebrato, nonostante il peccato etnografico di ignorare ciò che il popolo riteneva importante. Tuttavia, rendere i Greci umanamente responsabili della loro storia non significa fare della loro storia un modello per l’umanità. Al contrario, per rendere la storia greca universalmente applicabile, bisognerebbe sottrarle tutto ciò che era distintamente greco, tutto ciò che la condizionava in modo specifico, e fondare invece la sua intelligibilità su una generica natura umana. L’eliminazione del meraviglioso diventava così una prescrizione per svalutare il culturale a favore del naturale per il bene dell’universale.
La natura umana: questa animalizzazione della retorica della storia è la controparte, sostiene David Grene (1965), della sua umanizzazione nella coscienza ateniese del v secolo. Sottratta al controllo degli dèi e consegnata alla decisione umana, la politica fu così consegnata al desiderio corporeo:
Poiché la grandezza dell’impero ateniese era agli occhi dei suoi abitanti fatta dall’uomo e basata sullo sfruttamento delle risorse materiali, quasi esclusivamente, poiché non c’è alcun tentativo di credere in un compito divinamente imposto o in un dovere più che umano o nella perfettibilità dell’uomo, la retorica politica nell’Atene del v secolo sviluppa una teoria della natura umana essenzialmente basata solo sui desideri animali e la loro soddisfazione (Grene 1965: 28).
In questo caso storiografico, non sono solo le azioni degli dèi e i sentimenti migliori dell’umanità a essere messi intellettualmente in secondo piano; lo è anche la cultura, nella misura in cui i significati e le regole umane non possono resistere alle potenti forze del desiderio naturale. Se la storia è «cosa degli uomini», come riteneva Tucidide, allora si riduce a una gara impari tra parole instabili e corpi implacabili. Nella sua storia, il nomos, «convenzione», non era all’altezza della physis, «natura». Il nomos stava alla physis come il contingente al necessario e il mutevole all’immutabile. «Insomma è assurdo», dice Diodoto nel dibattito di Mitilene, «ed è molto ingenuo pensare che, quando la natura umana è sotto un impulso che prepotentemente la spinge ad agire, si possa trattenerla o con la costrizione delle leggi o con altra minaccia» (iii.45.7). L’elenco delle pratiche e delle istituzioni culturali che in Tucidide sono soggette alla natura umana in un modo o nell’altro, sia che vengano superate da essa sia che dipendano da essa per le loro caratteristiche, è piuttosto impressionante. Comprende la parentela, l’amicizia, l’appartenenza etnica, l’impero e le istituzioni sociali tradizionali in generale; la legge, la morale, l’onore, i trattati e la giustizia in generale; gli dèi, la sacralità e la religione in generale; e non ultimo, il linguaggio, il significato delle parole in generale. Tutti questi sono nulla in confronto ai desideri dell’uomo, sia nel senso che l’interesse personale li sovverte (come nella rivoluzione di Corcira o nella peste ateniese), sia nel senso che l’interesse personale è la vera ragione della loro esistenza (come nella ricerca della ricchezza e del potere che ha creato l’impero ateniese o, più specificamente, che ha portato all’annientamento dei Melii). Si noti, quindi, il notevole potere esplicativo delle invocazioni di Tucidide sulla natura umana. L’argomentazione renderà conto dell’ordine e del disordine, della struttura e dell’anomia, della costruzione della cultura e della sua decostruzione. Una posizione argomentativa invidiabile ancora presente nelle antropologie riduzioniste della natura umana: il procedimento spiega tutto e il suo contrario.
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Se Sahlins è riuscito a compiere quest’ampia riflessione per una revisione critica della categoria di “storia” analizzando la guerra tra Bau e Rewa, potenze egemoniche che governavano con l’intimidazione alle isole Fiji, paragonandola alla guerra del Peloponneso e ai suoi significati tra Sparta e Atene, la guerra stessa come sorta di fatto sociale totale con il suo corredo rituale di morte, pianto, distruzione, disperazione e sofferenza sia nel mondo classico, che nel mondo primitivo, che nel mondo contemporaneo, sembra permanere. La parte che non tende all’universale, all’eterno, all’avidità, al potere, al desiderio, al secolare, governa ancora oggi la storia degli uomini; è forse ora che sia proprio questa di prospettiva ad essere messa a fuoco e superata?
Melissa Pignatelli
Marshall Sahlins, Nonostante Tucidide, la storia come cultura (Eleuthèra, 2023)
Immagine: René Magritte, Il falso specchio, 1928, MoMA, New York su Wikioo
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi