Pubblicato il 2 Giugno 2024

Grazia Deledda e l’Edera

di Massimo Granchi

L’Edera di Grazia Deledda esce per la prima volta in tedesco e francese nel 1907 sotto forma di romanzo di appendice accolto in riviste di settore. È pubblicato in Italia nel 1908, prima a puntate sulla “Nuova Antologia”, periodico trimestrale di lettere, scienze e arti fondato nel 1866 a Firenze, e poi in un volume. La società sarda, fortemente strutturata in categorie sociali, è descritta dall’autrice attraverso il lento processo di decadimento di una famiglia aristocratica di campagna, i Decherchi. I ruoli dei molti protagonisti sono definiti con dovizia di particolari al fine di mantenere stabilità narrativa ed equilibrio, anche se trasmettono una condizione di perenne precariato: precario è il sistema economico, precaria è la politica locale, precaria è la salute fisica e mentale, precaria è la pace dell’anima e la vita stessa. La storia è ambientata nei primi anni del 1900 in un paesino immaginario denominato Barunéi; si tratta di una bidda, termine usato per indicare un paese o zona rurale.

Il testo ci permette di comprendere come la situazione descritta riguardi l’intera comunità barbaricina del tempo, compresa la stessa Nuoro, unico avamposto dove è possibile tentare di emancipare la propria condizione andando, per esempio, a servizio delle famiglie più facoltose. Nuoro non è ancora una cittadina, ma le ragazze di bidda, appunto, si spostano per cercare ospitalità presso le famiglie borghesi dove svolgono attività di teracca, domestica o addetta alle cure della prole, spesso di bambini poco più piccoli di loro.

Dal romanzo si desume che il capoluogo è un paese di 7.000 abitanti diviso in due parti, San Pietro, frazione dei pastori, e Sèuna, frazione dei contadini. È un avamposto remoto in una terra relegata a periferia del Regno d’Italia. La lingua italiana è un campo difficilmente praticabile e, in ogni modo, solo dai dotti, dagli istruiti formatisi presso le università di Cagliari e Sassari, vere città della Sardegna.

A Nuoro le scuole finiscono con il Ginnasio. Proprio la difficile accessibilità della lingua italiana, intesa come lingua dei colti, dell’autorità, del dominatore, è un primo marcatore della differenza culturale che porta alla trasformazione della cultura popolare sarda in cultura nazionale sarda. L’identificazione di sé passa attraverso il riconoscimento dell’Altro in quanto diverso e non comprensibile, ostile.

La propria affermazione è un processo che transita dalla legittimazione della propria esistenza. Franciscu Sedda ritiene che in questo i sardi convivano con la convinzione dell’assenza di una storia propria e sovrana che contribuisce a mantenere aperta la ferita del disvalore fino ad arrivare all’inesistenza tout court attraverso la mancanza di forma o di organizzazione delle pratiche culturali osservate e descritte, come per esempio avviene nel ballo.

Scrive Sedda a tale proposito: la descrizione di un rito soggetto al libero arbitrio dei singoli danzatori favorisce l’idea di una generale insensatezza dell’oggetto culturale e, più in generale, quella che è stata definita la costruzione semiotica del barbaro (Lotman 1985): è come se là dove viene svolta quella pratica non ci sia un senso comune e dunque nemmeno una vera comunità.

Deledda ottiene nel 1926 il premio Nobel per la letteratura, unica donna italiana a raggiungere questo traguardo proprio perché «ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano». È quanto si legge nella motivazione del Comitato Nobel composto da membri dell’Accademia svedese. Una modalità per comprendere, dunque, il contributo antropologico dell’autrice nella caratterizzazione della cultura nazionale sarda, è descritta proprio in questo ultimo passaggio: la sua capacità di trattazione di problemi di generale interesse umano.

Pietro Clemente scrive a tale proposito che “la scrittrice è precisa nelle descrizioni di fatti culturali, di piccoli eventi, di forme proverbiali e di modi di dire, e che gli studi sulle tradizioni popolari le avevano lasciato una grande riserva di aspetti della cultura popolare cui fare ricorso nella scrittura dei romanzi”.

Massimo Granchi

Testo d’incipit del capitolo Grazia Deledda e l’Edera in Etnografia del mondo sardo nella letteratura. Da Grazia Deledda a Salvatore Satta e Marcello Fois (1908-2009), Edizioni Il Papavero, 2023, Manocalzati, 2023, incipit del Capitolo II, pp. 33-48.
L’immagine di quest’articolo è un particolare della copertina

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