Pubblicato il 30 Settembre 2024

Le culture sono ibridi

di Melissa Pignatelli

In un mondo sempre più interconnesso nel quale le strumentalizzazioni delle politiche locali fanno pensare più ad un arretramento del pensiero piuttosto che ad un progresso, ci piace ricordare la riflessione di Ugo Fabietti, Roberto Malighetti e Vincenzo Matera in Dal tribale al globale. Introduzione all’antropologia (1a. edizione Bruno Mondadori 2000 – 3a edizione Pearson 2020), sulla natura della cultura come un ibrido, qualcosa in continuo mutamento, rimescolamento, che si aggrega e si ricompone nel flusso di significati che ogni giorno circolano nel panorama mediatico e relazionale nel quale siamo immersi. Niente di fisso, niente di puro: le culture seguono logiche meticce traendo proprio da esse la forza che permette ad ognuno di fabbricare il proprio modo di adattarsi all’ambiente.

Gli autori spiegavano così le “culture ibride” ed il “pensiero meticcio” (che abbiamo raccontato qui):

“le culture ibride sono le nuove sintesi, i nuovi profili, i nuovi paesaggi che caratterizzano il mondo contemporaneo dal punto di vista socioculturale: sintesi profili, e paesaggi del mondo che nascono appunto dall’incontro, oggi sempre più intenso di individui e gruppi con storie, memorie, conoscenze e identità diverse, spesso fondate su premesse esperienziali e concettuali molto distanti tra loro.

Sul piano empirico le culture sono sempre state “ibride”, almeno nel senso che ciò che costituisce il mondo della nostra esperienza condivisa, pratica e simbolica, è sempre frutto di incontri, di apporti e di mentalità differenti tra loro, di oblii e di ricordi che attingono a esperienze culturali diverse. Questi apporti, incontri, oblii che dipendono naturalmente, e in primo luogo, dal modo in cui le culture si combinano e si ricombinano in base a determinati rapporti di forza, hanno oggi assunto una frequenza e un’intensità che sono notevolmente superiori al passato, anche a un passato piuttosto recente.

Da un punto di vista empirico, di conseguenza, l’espressione “culture ibride” è un modo per esprimere ciò che accade nel mondo, una metafora dell’intensità e della frequenza che caratterizzano l’incontro fra culture nel mondo contemporaneo”.

La conclusione dei nostri autori è che gli antropologi si occupano le studiare le logiche complesse che compongono le culture, ne analizzano le strutture, i cambiamenti, le influenze, ne tracciano le genealogie e sono coloro che, considerata l’ecumene globale come habitat principale delle persone, si pongono sui confini e sulle frontiere a guardare gli intrecci ed i passaggi di tratti e persone che caratterizzano la nostra epoca.

Intrecci e scambi che sono soltanto più veloci rispetto al passato nel quale, comunque, c’è sempre stato un “traffico culturale”  fatto di merci (come le spezie, le sete, etc.), idee e persone che si spostavano da una parte all’altra della superficie terrestre.

Per questi motivi, e per far emergere il potere delle retoriche politiche contemporanee, ci sembra utile ricordare la normalità, la banalità quasi, degli spostamenti come assolutamente tipici degli esseri umani.

Melissa Pignatelli

Libro citato: Ugo Fabietti, Roberto Malighetti, Vincenzo Matera, Dal tribale al globale. Introduzione all’Antropologia, Pearson, Milano, 2020.

Immagine: Still del trailer per la mostra Harmony and Dissonance. Orphism in Paris 1910-1930 al Gugghenheim di New York dal 8 Novembre 2024 al 9 Marzo 2025 (link qui). Gli artisti legati all’orfismo si sono impegnati con idee di simultaneità in composizioni caleidoscopiche, indagando le possibilità di trasformazione del colore, della forma e del movimento.

 

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