Pubblicato il 12 Ottobre 2025

La Moda e la Morte, un dialogo per vincere il tempo

di Melissa Pignatelli

Nel Dialogo della Moda e della Morte di Giacomo Leopardi, due figure si confrontano sulla natura effimera dell’esistenza umana. La Moda, personificazione del cambiamento incessante, e la Morte, simbolo della fine inevitabile, si riconoscono come sorelle nate dalla Caducità. Questo dialogo, parte delle Operette morali (1827), esplora la tensione tra l’apparenza e la realtà, tra l’effimero e l’eterno:

Moda: Sì: non ti ricordi che tutte e due siamo nate dalla Caducità?”
Morte: Che m’ò a ricordare io, che sono nemica capitale della memoria?”
Moda: Ma io me ne ricordo bene…”

Leopardi utilizza la Moda per rappresentare la vanità umana, l’illusione di immortalità che accompagna ogni nuova tendenza, mentre la Morte osserva con distacco, consapevole della sua inevitabilità. Ogni abito porta in sé la propria fine, come una foglia che si tinge d’autunno mentre ancora è verde. La moda è l’arte di rendere visibile questo paradosso: esistere significa mutare, ed essere consapevoli che nel momento in cui qualcosa è “di moda”, è già sul punto di non esserlo più.

Oggi questo movimento, che un tempo seguiva le stagioni, si è fatto frenetico, quasi senza respiro. La fast fashion, i trend virali, l’algoritmo che genera stili come sogni effimeri: la moda vive ormai nella temporalità del feed, dove il nuovo non è più un evento ma un flusso. Ogni giorno nasce una tendenza, ogni giorno muore una forma. Eppure, in questo infinito rinnovarsi, qualcosa si è incrinato: il tempo stesso sembra aver perso la sua direzione. La moda non finisce mai, perché non comincia mai davvero.

Così, la moda riflette il ritmo stesso del nostro essere contemporanei — un continuo apparire e scomparire in una promessa di eternità che si consuma nel tempo dell’istante. Mettendo in pratica la riflessione di Giorgio Agamben in Che cos’è il contemporaneo? (Nottetempo, 2008) la moda diventa il punto attraverso il quale osservare il presente. Così facendo “siamo quei contemporanei che ricevono in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal nostro tempo”, siamo accecati dall’effimero ma non possiamo non vedere che la moda ha smarrito il suo senso critico in un eterno, diluito presente.

Quando Leopardi fa parlare la Moda e la Morte come sorelle ha intuito che entrambe custodiscono lo stesso segreto: la forma è possibile solo nella finitezza. Due secoli dopo, Agamben ha chiamato ‘contemporaneo’ chi sa abitare questa finitezza, chi sa guardare nel buio del proprio tempo senza distogliere lo sguardo. La moda, allora, non è soltanto l’industria del nuovo, ma un modo di stare nel tempo — un rituale che ci ricorda che ogni presenza è anche una sparizione.

Tornando al quotidiano gesto umano, rituale, del coprirsi, la moda resta un linguaggio fragile: il tentativo di dare forma a ciò che sfugge. Come Leopardi, riconosciamo nella caducità la condizione stessa della bellezza. Come Agamben, comprendiamo che essere contemporanei significa sapere che il nostro tempo ci sfugge — e, nonostante questo, continuiamo a vestirlo.

Melissa Pignatelli

Giacomo Leopardi, Operette morali, 1827, Dialogo della Moda e della Morte (link)

Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo, Edizioni Nottetempo, 2008

Screenshot di Vogue Runway-Spring Summer 2026

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