Pubblicato il 28 Aprile 2022
La partita a scacchi di Nabokov
di Valeria Russo
Pensare la realtà proiettandola su una scacchiera è un’abitudine che non appartiene più all’Occidente. Un fatto che molti troveranno sorprendente è che in passato, invece, l’interiorizzazione intellettuale di questo nobile gioco produceva persino dei modelli mentali per interpretare gli eventi presenti e anticipare quelli futuri.
Un esempio lampante ne è il Ludus scacchorum, trattato composto intorno al 1300 da Jacopo da Cessole, frate domenicano. Le classi sociali, le dinamiche di potere, le azioni e le interazioni tra gli individui vengono qui paragonati e sovrapposti ai pezzi degli scacchi e alle diverse mosse da compiere sulla scacchiera. Era un esercizio di corrispondenze, quello tra il gioco e la realtà, tanto banale quanto universale. I padri del pensiero medievale occidentale, infatti, hanno applicato tale modello analitico anche all’amore, precisamente nel Livre des échecs amoureux moralisés. Redatto da un medico-scrittore francese, Évrard de Conty, alla fine del Quattrocento, questo “Libro degli scacchi amorosi moralizzati” è un’opera letteraria che mostra e insegna, attraverso un discorso moralizzato (cioè allegorico ed edificante), le strategie di cui l’amante può avvalersi nella seduzione e nelle relazioni sentimentali.
Nel frattempo, per noi, questa storia è stata delegata al passato, mentre altre nazioni, come ad esempio quella russa, continuano a fare degli scacchi un paradigma d’azione e di esegesi della realtà, un sistema di astrazione e analisi che è stato completamente assimilato.
Per tenere a mente che i russi non solo sanno ancora giocare a scacchi, ma che ne fanno una sorta di filosofia e pratica esistenziale, basterà rivolgersi all’acume sempreverde di Vladimir Nabokov e al suo La difesa di Lužin (1930), bellissimo romanzo scritto in russo, prima che l’autore trapiantasse la sua identità, la sua biografia e la sua lingua negli Stati Uniti.
In questo racconto seguiamo Lužin dall’infanzia – anni dell’acquisizione della volontà individuale – fino alla morte: tutta la sua esistenza è segnata dalla presenza degli scacchi, di cui Lužin è un campione di rango internazionale. Giunto all’apice della fama, il protagonista è vittima di una crisi di nervi che gli impedirà di battere l’unico avversario al suo livello, un trauma che causerà in lui una rimozione di quella partita e della presenza stessa del gioco nella sua vita. Da quel momento, mentre tutti attorno a lui cercano di restituire senso alla sua esistenza immergendola nell’ordinarietà borghese del matrimonio, Lužin decide di sottrarsi: il suicidio è la sua difesa migliore per interrompere la sospensione della partita e della vita-senza-scacchi.
Il protagonista è un sociopatico, un prodotto anomalo del suo stesso ambiente, un essere eccezionale tanto per le sue capacità intellettuali quanto per le sue lacune emozionali e per l’intensità della sua sindrome monomaniaca. Ma Nabokov dimostra l’ambivalenza di questo insolito itinerario esistenziale. Il protagonista non è dipinto come un ‘anormale’, la sua identità e la sua psiche non sono mai problematizzati. Soltanto tramite gli schizzi di realtà – che delimitano l’azione esterna – l’autore mette sotto gli occhi del lettore l’inadeguatezza del protagonista rispetto a una società fatta di regole a cui Lužin non aderisce, ma che egli sa dominare. La chiave è questa: la vita scacchistica prende il sopravvento sulla vita reale, fenomeno che rappresenta per Lužin la mediazione verso una forma d’analisi della realtà, dei suoi connotati e dei suoi svolgimenti tanto profonda da permettergli di cogliere la precarietà che caratterizza la realtà, proprio come caratterizza il gioco.
Il romanzo presenta varie e importantissime sottotrame, tra cui annovero l’ostilità e la gelosia del padre nei confronti del figlio, la dissociazione e l’assenza di rapporto col proprio corpo (la cui metafora fila dall’inizio alla fine del racconto, come dimostra la narrazione del suicidio, in cui viene descritta la caduta libera di Lužin attraverso il suo stesso corpo, tra vita e morte). Ma Nabokov sembra soprattutto presentarci una parabola, una sorta di guida all’animo russo, attraverso la tecnica narrativa metonimica della ‘parte per il tutto’ (un russo per tutti): lo scopo è mettere in scena l’imprescindibilità del legame tra la vita e il gioco, come se gli scacchi non rappresentassero solo la sostanza della vita, ma anche la sua struttura.
Il tema racchiude in sé aspetti di scottante attualità, che potrebbero indurre a proiettare in senso bellico le più elementari dinamiche del gioco, in cui delle buone strategie – che prevedono anche delle sconfitte – possano guidare alla vittoria. Dall’altro lato, invece, la sconfitta totale equivarrebbe al suicidio perché, come nel gioco, non esiste un’ aurea mediocritas tra il vincere e il perdere.
Tanto vale, quindi, far valere la candela.
Valeria Russo
Valeria Russo è dottore di ricerca in Filologia romanza e ricercatrice post-doc presso l’Université de Lille
Immagine di dominio pubblico: Death playing chess di Albertus Pictor. Chiesa di Täby kyrka, Diocesi di Stoccolma, Svezia
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi