Pubblicato il 22 Dicembre 2025

Natale “no contact” e con famiglie d’elezione: un’evoluzione della cultura italiana nelle feste

di Melissa Pignatelli

Il Natale, con la sua carica di aspettative familiari, mette in evidenza quanto siano complesse le famiglie contemporanee e quanto, in molti casi, si trasformino più in tribunali saccenti che in ritrovi benevoli. Parenti tossici, aspettative disattese e vecchi copioni infantili tornano a galla scintillanti per le feste, trasformando il rito del focolare in una prova involontaria di resistenza psicologica.

In questo contesto, l’antropologia contemporanea guarda al Natale come a una forma di “oggettivazione della famiglia”: un palcoscenico rigido dove l’identità adulta viene spesso schiacciata per compiacere un ideale di unità che, nella realtà quotidiana, non esiste. I personaggi e le personalità delle famiglie sono più o meno sempre gli stessi, maschere immutabili di un rituale che non ammette evoluzioni e che s’impone, rigido come un’armatura, sotto la pelle delle figuranti.

La scena del film potrebbe essere questa: ai capi di una lunga tavola bianca ci sono madre e padre capi-tossici di una apparentemente sfavillante compagnia; ci sono i cugini che non si fanno mai vedere durante l’anno, ma che a dicembre riappaiono per occupare un posto a tavola con la confidenza di chi non se n’è mai andato; ci sono le vecchie zie che giudicano le ricette con un sopracciglio alzato, trasformando ogni piatto servito in una critica alla capacità di stare al mondo; c’è la cugina acida che aspira la sua sigaretta elettronica e poi sorride con scherno mentre riporta a galla quell’errore di dieci anni prima, congelando la donna adulta nell’immagine della ragazzina fallita; ci sono spesso uomini anziani che vogliono apparire giovani e sono sempre impegnati in competizioni muscolari sui loro successi incomparabili; non mancano mai le donne perbene, vere vipere, compiacenti e comprensive che performano quell’ipocrita ideale ottocentesco dell’angelo del focolare. Qualche bambino sparso, irrilevante quanto le bambine.

Il tono, in tutte le conversazioni intorno alla tavola, è quello del sarcasmo radicale, e ogni comparsa non manca mai di sottolineare tra un brindisi e l’altro, quanto le idee degli altri siano sempre peggiori delle proprie. In questa gara silenziosa a chi possiede la verità più solida, tutti quanti sfogano nelle montagne di cibo che circola l’impazienza, la frustrazione e l’irritazione che, puntualmente, condiscono ogni piatto.

A Natale si riproducono e si rinforzano così vecchi schemi, analizza Daniel Miller in Christmas, an anthropological lens in HAU: Journal of Ethnographic Theory,   un momento annuale di passaggio, nel quale si può immaginare il futuro e ripensare al passato facendo un punto sulla situazione. Le dinamiche del Natale però si possono trasformare in “trappole” che costringono  l’individuo a rientrare in un’identità infantile o funzionale al sistema familiare, annullando ogni evoluzione personale. Così le persone non sono più un adulto con una storia, ma un fermo immagine di un passato utile solo a rinvigorire l’ego della platea familiare.
Finalmente però –  come hanno suggerito gli studi sulla parentela elettiva – sempre più persone scelgono di non partecipare a questo rito oppressivo del Natale, specie quando questo si trasforma in un tribunale tossico. Così  la posizione “no contact”, nessun contatto, diventa un atto di autoconservazione che sfida il dogma della “famiglia a ogni costo” facendo prevalere la scelta consapevole di un focolare diverso, fatto di amici e legami scelti, dove l’identità non è una colpa da espiare.
Trascorrere il Natale con la “famiglia scelta” è dunque un Natale fatto di amici che sostengono, partner che comprendono, reti di cura consapevole che celebrano legami e sentimenti basati sul riconoscimento reciproco e non sull’obbligo. In questo Natale 2025, preservarsi significa capire che la vera casa non è dove si è nati, ma ovunque ci sia concesso di esistere senza doverci difendere.

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