Pubblicato il 10 Marzo 2025

La vera storia dell’Ayahuasca e dello Yagé

di Melissa Pignatelli

In un tempo non molto lontano, in Amazzonia, vivevano “i popoli dell’Anaconda”. Questo era il nome che riuniva tutte le piccole tribù conosciute localmente come Cofàn, Tukano, Taiwano, Macu, Karijona, Barasana, Witoto, Puinave, Kubeo. Queste tribù credevano che l’Anaconda, i fiumi e la Via Lattea, erano ognuna il riflesso dell’altro, ma in una dimensione diversa. Così, per i popoli dell’Anaconda, ogni cosa che componeva il quotidiano aveva un suo corrispondente da un’altra parte dell’ecosistema.

Per esempio, la casa, la maloca, il rifugio universale, che ospitava gran parte dell’attività umana dei popoli dell’Anaconda, era costruita sul modello del cosmo. Il tetto era il cielo e i muri le montagne che lo sorreggevano. Il pavimento, la terra e i pali della struttura erano gli antenati mitici. Le case erano spesso erette vicino al fiume, dal quale provenivano tutti gli esseri viventi e sul quale tutti ripartivano. I morti erano sepolti sotto il pavimento della maloca dove un fiume sotterraneo li portava nell’aldilà, cioè non così lontano da dove erano sempre vissuti.

Al di fuori della casa e dal suo ordine giacevano gli animali dove il giaguaro regnava sovrano, copulando e mangiando senza ritegno. I popoli dell’Anaconda cercavano di comprendere la loro esistenza in maniera armonica, mettendola in relazione con il resto della natura.

I segreti riguardavano le piante, gli uomini e gli animali; raccontavano di stelle e di vie, suggerivano un modo per mantenere tutto come in un accordo sinfonico per curarsi a vicenda, per non dimenticarsi che ognuno aveva bisogno dell’altro. Era la via dell’equilibrio. La via dove tutto si reggeva, si generava e si rigenerava in maniera osmotica e placida.

Un giorno, un etnobotanico americano di nome Richard Evans Schultes scese da una barca di legno in terra Tukano. La Serra Tukano era una vasta zona amazzonica con una montagna granitica che sorgeva in un punto alto dell’orizzonte e che sembrava proteggere le attività sottostanti. Il villaggio al quale arrivò percorrendo un lungo sentiero di terra rossa, era all’interno della foresta. Come tante tribù amazzoniche, i Tukano vivevano attorno alla grande maloca decorata con disegni geometrici, coltivavano gli orti di tabacco, coca e yucca, raccoglievano piante selvatiche, i loro sciamani conoscevano le piante sacre e gli uomini praticavano la caccia. Per la sua capacità di adattamento alla vita semplice delle tribù ed il suo fisico resistente, Schultes fu accettato dai Tukano e dalle altre tribù dei popoli dell’Anaconda. Negli anni riconobbe molte piante amazzoniche catalogandole per la prima volta e, grazie alla fiducia degli sciamani, imparò a riconoscere ed usare le piante sacre.

Schultes visse i molti anni della sua vita in amazzonia condividendo il quotidiano dei locali, conoscendone abitudini e riti, credenze e supposizioni. Per esempio nelle attività quotidiane, le donne dei Tukano avevano un ruolo fondamentale. Esse concentravano le loro attività sulla coltura della yucca e la produzione del pane di cassava, una procedura lunghissima, fatta di battitura e doppia fermentazione della farina di yucca, una pianta sacra. Le donne erano un perno fondamentale nella costruzione e nella riproduzione del quotidiano fisico e sociale, perché la sensualità e l’intimità della coppia era un riflesso della simbiosi tra l’uomo e la natura. Le serate passavano nella maloca, a raccontare imprese di caccia e vecchie leggende. Gli uomini che avevano passato la giornata a cercare cibo o a raccogliere piante si mettevano in cerchio mentre le donne continuavano a prendersi cura dei bambini piccoli o della lievitazione del pane, ascoltando anche loro.

Il ruolo di ogni sciamano della tribù era quello di accudire e curare attraverso la somministrazione di decotti di erbe e radici. Così negli anni che Schultes passò in mezzo alle tribù amazzoniche, imparò a riconoscere, tra le altre, l’uso della Banisteriopsis capii, della Psychotria viridis, della datura, della mandragora, piante sacre usate in composti di decotti medicinali, meglio conosciuti e diffusi col nome di ayahuasca e yagé.

Queste preparazioni avevano effetti narcotici, allucinogeni, che erano considerati i veri poteri magici delle “piante degli dei” dalle tribù locali che li usavano come preparazioni medicinali rituali. Gli sciamani interpretavano il disagio della persona e preparavano il decotto necessario a provocare quelle visioni; secondo loro gli effetti delle visioni, con l’aiuto dello sciamano e della comunità riunita, le piante guidavano il malato fuori dalla malattia. Schultes apprese così le proprietà di ayahuasca e yagé; bevande divine che guidavano l’anima verso il suo compimento.

Nel caso di malati che assumevano yagé, alla preparazione potevano essere aggiunte altre piante per favorire la guarigione da altri problemi come reumatismi, problemi intestinali, sessuali o spirituali. Era il compito dello sciamano identificare il problema e connettere i sintomi in modo tale da trovare il rimedio più adatto. Tutti i livelli dell’individuo venivano considerati, e non si isolava un problema di una singola parte del corpo ma si curava l’essere nella sua totalità. Inoltre, essendo il corpo del malato anche una parte del corpo tribale, lo sciamano si prodigava per capire quali erano le connessioni tra la persona e il gruppo.

La capacità dello sciamano di interpretare i sintomi e di metterli in relazione con un problema e la sua soluzione, erano doti che egli doveva acquisire sin da piccolo. La sua sensibilità era la garanzia della curabilità della comunità. Questo era il motivo per il quale la somministrazione di una medicina non avveniva in maniera isolata, ma era inserita in un rituale dove la persona malata era curata come parte integrante del gruppo, del luogo, del momento spirituale collettivo.

In nessun momento, l’isolamento della persona era percepito come necessario o benefico alla cura, né per chi voleva guarire, né per la comunità. Il male, come il malato, erano parte di un tutto infinitamente più grande, ed era compito dello sciamano rimettere in equilibrio quelle parti che vacillavano ed avevano bisogno di aiuto: lo yagé e l’ayahuasca aiutavano gli sciamani a mantenere quest’equilibrio sociale. La società, le piante, gli animali, l’acqua dei fiumi, la conoscenza divina e terrena erano interconnesse nelle conoscenze e nelle capacità dello sciamano che, aiutato dalle piante sacre, vegliava sul benessere psichico, fisico e spirituale delle persone.

Più tardi, tutta questa preziosa organizzazione sociale fu scombussolata dalla curiosità che nacque in seguito alle pubblicazioni delle scoperte di Schultes e di suoi collaboratori di laboratorio – del calibro di Albert Hoffman (che decise di commercializzare la sequenza del LSD scoperta con Schultes). E così dalla beat generation alle Lettere dello Yagé di William Burroughs fino alla più recente Marina Abrahamovic, l’ayahuasca e lo yagé non smettono di sedurre gli occidentali sempre di più alla ricerca di partenze per gli psicotropici, nuova meta del turismo pschidelico. 

Melissa Pignatelli

Bibliografia:

Jean-Loup Amselle, Psicotropici. la febbre dell’ayahuasca nella foresta amazzonica, Meltemi editore, 2020

Richard Evans Schultes, Albert Hofmann , Christian Ratsch, 2001 (1979),  Plants of the Gods
Their Sacred Healing And Hallucinogenic Powers, Revised And Expanded Second Edition, Inner Traditions Bear and Company.

Davis, W., 2004 The Lost Amazon: The Photographic Journey of Richard Evans Schultes, Thames e Hudson, London.

Goldman, I., 1980, Reflections of Nature in Vaupes Cultures, in American Ethnologist.

Jackson, J. Preserving Indian Culture: Shaman Schools and Ethnoeducation in the Vaupès, in Cultural Anthropology.

Hugh-Jones, C., 1979, From the Milk River, Spatial and Temporal Processes in Northwest Amazon, Cambridge University Press, New York.

Hugh-Jones, S., 1979, The Palm and the Pleiads: Initiation and Cosmology in Northwest Amazon, Cambridge University Press, New York.

Immagine freepik

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