Pubblicato il 10 Marzo 2017

Come cambiare un museo con la comunicazione

di Elisa Bonacini

Dalla pubblicazione dell’articolo agli inizi del 2016, che presentava i dati del biennio 2014-2015, a fine di luglio del 2016 il Museo Salinas di Palermo ha riaperto i battenti con la riapertura di tutto il piano terra, intorno ai due chiostri, e l’esposizione dei reperti provenienti da Selinunte, dalle splendide metope ai depositi votivi rinvenuti negli scavi dei santuari.

Cosa è cambiato rispetto a quell’articolo? Il Salinas è diventato un “marchio” di qualità nella comunicazione culturale, ha creato uno stile sempre più apprezzato, seguito e imitato. L’incremento dei visitatori è diventato esponenziale: nel 2016 si sono registrati (con un solo livello espositivo) 60.852 visitatori, con un incremento del 34,73% rispetto ai dati del 2014 (che costituivano proprio il “case study” di un museo in grado di attirare pubblico, pur essendo aperto per ¼ dello spazio espositivo di un solo livello, già allora superando l’ultimo dato utile del Museo interamente aperto nei suoi tre piani, riferito a 39.477 visitatori nel 2008.

Questo è quello che ci dicono i numeri: i fatti ci raccontano anche altro.

Nonostante il Salinas abbia dimostrato, numeri alla mano, quali risultati si possano raggiungere in termini di costruzione (e ricostruzione, anche) di un “nome”, in termini di affluenza e di customer satisaction (basti leggere i commenti ai post del Museo e i commenti entusiasti lasciati dai visitatori fisici), nulla è cambiato in termini di strutturazione di un organigramma adeguato a tale cambiamento. Il “social media manager” del museo, Sandro Garrubbo, continua a svolgere questo ruolo “in pectore”; tale figura non esiste nelle maglie dell’amministrazione dei beni culturali siciliani e non sappiamo nemmeno quando si deciderà – finalmente – di “arruolare” dei comunicatori o degli esperti di strategie della comunicazione, come sta facendo il MiBACT. Anzi, non è cambiato nemmeno il pennino con cui tutto questo avviene da oltre tre anni: continua ad essere quello personale del “catalogatore” Garrubbo e continuano ad essere spese a suo carico (anzi, da qualche tempo ai catalogatori del patrimonio siciliano è stata tolta anche la gratuità nell’ingresso ai musei regionali!).

Ci auguravamo che il “case study” del Salinas aiutasse a indicare la strada di una “buona pratica”: l’ha fatto. Ci auguravamo che, nel farlo, favorisse il recepimento del Decreto Musei sulla necessità delle nuove competenze: non ci siamo ancora riusciti. Non basta, dunque, creare “Servizi” sulla valorizzazione nei Poli, nei Musei, nei Parchi archeologici: è necessario che chi occupi tali ruoli ne abbia le competenze e che non sia solo un “cambio di poltrone” nella riorganizzazione di un organico preesistente.

Elisa Bonacini

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