Pubblicato il 10 Maggio 2017
I corpi e la disciplina: come vedere Michel Foucault in Jerôme Bel
di Melissa Pignatelli
Di tutte le attività umane l’elemento principale sul quale agiscono regie e regole è lui il protagonista, flessibile e docile, controllato e disciplinato, fermo o in movimento: il corpo. Michel Foucault si è a lungo interrogato (in Sorvegliare e Punire, 1975, per Einaudi nel 1993) sulle modalità attraverso le quali l’organizzazione del tempo ha inciso sul modo in cui lo usiamo, su come il potere tende a modellarlo, su come tende controllarne i movimenti, ad esempio nel caso specifico della prigione (che dovrebbe “raddrizzare” i comportamenti errati) o della scuola (che dovrebbe educare il corpo ad essere efficacemente utilizzato).
Lo spettacolo dei corpi messi in scena stasera e domani sera dal coreografo francese Jerôme Bel in Gala (coproduzione Fabbrica Europa e Centro Pecci) sembra essere una declinazione di questi grandi interrogativi foucaultiani. Infatti, la danza, con le sue regole e la sua disciplina è un’attività tradizionale molto pertinente per interrogarci sulla maniera in cui accettiamo le imposizioni delle consuetudini.
Portando l’attenzione sui corpi normalmente esclusi dalla scena, il coreografo francese offre il palco a coloro che generalmente non vi hanno accesso, un gruppo di non-professionisti che si rapportano al forte senso di appassionata pratica artistica. Lo spettacolo prende la forma di un gala, di una celebrazione collettiva non professionale, scalzando l’autorità del “ben danzare” a vantaggio del puro piacere di raccontarsi. Di questi corpi inesperti, Gala esplora la plasticità fisica e la duttilità intellettuale, mobilitando il loro desiderio di esprimersi attraverso la danza e la loro capacità di incarnare, anche in minima parte, una conoscenza coreografica.
Cosi facendo, Bel con un esercizio intellettuale poco comune ci invita a riflettere su questa posizione rendendo visibili i processi inconsci di assimilazione attraverso i quali ciascuno integra la storia ufficiale della danza.
Siamo cosi portati a considerare il ruolo dei performer e la loro interpretazione di un gesto emblematico di un’epoca della danza, seguendo un filo che va dal balletto classico altamente codificato alla danza libera dei tempi moderni.
Infatti nel suo Gala, Bel pone al centro della questione il “non-danzatore”, espressione diffusa nella teoria contemporanea di cui Bel mette in discussione da tempo la pertinenza: chi vediamo evolvere sul palco se non danzatori? È la danza necessariamente condizionata da un’acquisizione di conoscenze? Come qualificare allora questi interpreti in difetto di esecuzione? Come altrimenti questi interpreti possono essere qualificati se quello che stanno facendo non è una performance? Non è una danza eseguita male tuttavia una danza?
Jérôme Bel prosegue poi la sua decostruzione della rappresentazione istituzionale della danza, meno interessato a distruggerne i dogmi che a indagare le assenze e le dimenticanze volontarie.
La pièce indaga dunque una via alternativa ai canali ufficiali dell’arte coreografica. La scelta della forma del gala, parente povero dello spettacolo professionale, mette sotto i riflettori la semplicità di esecuzione della danza “domestica”, quella che si può praticare a casa propria, senza maestri, nè tecnica, sacrificando qualsiasi finalità puramente estetica. Venuti coi loro abiti da festa, pescati nei loro guardaroba personali, i danzatori si appropriano di questo luogo di potere che è la scena e ne smontano in qualche modo l’autorità.
Attraverso questa serie di performance individuali, la pièce rende manifesto l’infondersi degli immaginari artistici nel corpo sociale; i passi e gli atteggiamenti propri a ogni forma coreografica costituiscono insieme una memoria collettiva, una conoscenza culturale incorporata.
Jerôme Bel sembra dunque mettere in scena una dialettica mediata dalle riflessioni di Michel Foucault, nella quale la riflessione sembra propendere però sul perché dell’accettazione a-critica delle imposizioni. La materia fisica emerge come protagonista dell’esperienza vitale che ci permette di creare la nostra vita insieme agli altri: un ruolo del quale bisognerebbe forse riscoprire la centralità.
Melissa Pignatelli
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