Pubblicato il 24 Maggio 2019
Cambiare o non cambiare? La domanda del Gattopardo
di Melissa Pignatelli
Citare il Gattopardo è tornato di moda. “Perché tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”, si sente spesso ripetere più o meno a proposito in vari luoghi di espressione pubblica. La frase intriga dal giorno in cui è stata scritta da Tomasi di Lampedusa per il personaggio di Tancredi. Il giovane nipote del principe di Salina la dice al momento del commiato del suo “zione” per andare a sostenere le camice rosse di Garibaldi appena arrivate in Sicilia. In qualche modo la frase sembra alludere che sostenendo il cambiamento politico si arriverà a mantenere il proprio stato, i propri privilegi, le proprie abitudini, il proprio posto nel mondo. In qualche modo chi non sostiene il cambiamento sembrerebbe rifiutare un “naturale” processo verso qualcosa che “sicuramente” non può che essere migliore.
Al di là del personaggio di Tancredi, e della sua scaltrezza, il quesito e la reticenza della risposta del principe di Salina rimangono.
Partecipare o non partecipare? Cambiare o non cambiare? I dubbi aleggiano. La storia si conclude con il rifiuto stanco di un seggio nel nuovo Senato del Regno d’Italia da parte del Principe di Salina. Il suo posto verrà occupato da un oscuro piemontese di nome Chevalley e poi dai vari Sedara dalle figlie seducenti che, dopo il Principe di Salina e quelli come lui, vengono chiamati a formare la classe dirigente della nuova Italia. Certo anche Tancredi sarebbe rimasto nel governo del cambiamento, a difendere i diritti della sua classe. Ma poi, ci riuscirà?
Perché quello che forse il Principe non dice, è che lui stesso non sta così male nella sua tradizionalissima organizzazione sociale. L’omaggio di Luchino Visconti ai fasti di una classe aristocratica che sceglie di non difendere ciò che ha conquistato finisce per rendere evidente il solco di una realtà che cede il passo ad un’altra. E si chiude, e muore.
La frase di Tomasi di Lampedusa è, in ultima analisi, fuorviante. L’industria, la modernità, la tecnologia, l’informatizzazione della società hanno cambiato la realtà: i reduci di chi voleva il cambiamento di regime (come in molte rivoluzioni) oggi (forse) si guardano indietro e vedono che “si stava meglio quando si stava peggio”, come recita il detto popolare.
Perché lo slogan che vediamo riportato oggi come espressione massima del gattopardismo non considera un aspetto fondamentale della storia. Ovvero che nei cambiamenti tutto cambia davvero e non è detto che si riesca a mantenere lo stato ante quem. Poiché il cambiamento può andare verso il peggio, bisogna essere pronti a vedere le cose peggiorare, le persone e la società confondersi, smarrirsi, nuovi fattori prendere il sopravvento in manieri inimmaginabile, ed osservare quanto radicalmente si modifica, per sempre, il proprio mondo.
E quindi, come si vede bene nel Gattopardo, la vecchia società che non partecipa alla nuova Italia perde – banalmente – per pigrizia, per svoglia, per non impegnarsi. Gli sciacalli e le iene, prendono il sopravvento.
Dunque il Gattopardo mette in luce una mancata presa di responsabilità nel presente di una classe dirigente che si lascia cullare da un’apatia soave, illusa ed illusoria. E quest’atteggiamento apatico verso la realtà confluisce oggi in un senso d’impotenza sociale che irriga sommessamente una società depressa. Basterebbe però difendere ciò che si è conquistato, coltivando il proprio giardino senza abbandonarlo agli slogan che distraggono la nostra forza da tutto ciò che abbiamo costruito. Perché, caro Tomasi di Lampedusa, la fine è la fine, se tutto cambia non rimane proprio nulla com’è.
Melissa Pignatelli
Il libro: Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli (pubblicato postumo 1958).
Il film: Luchino Visconti, Il Gattopardo, 1963, con Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale, il trailer originale qui.
Nota sul Gattopardo (dalla voce Il Gattopardo nell’Enciclopedia Treccani): Romanzo (postumo, 1958) dello scrittore italiano G. Tomasi di Lampedusa (1896-1957). L’opera, cui Tomasi non poté mai dare l’ultima rifinitura, venne inizialmente pubblicata da G. Bassani e poi in edizione integrale (1969), conforme al manoscritto redatto nel 1957.
Trama: nella Sicilia tra l’Unità d’Italia e il primo decennio del Novecento, si svolge la storia di un’aristocratica famiglia, nella quale spicca la figura del protagonista, Fabrizio Corbera, principe di Salina.
Il successo dell’opera fu immediato come pure il suo riconoscimento con la vincita del Premio Strega (1959). Dal romanzo il regista L. Visconti trasse l’omonima versione cinematografica (1963).
Fotogramma di Concetta di Salina e Tancredi, “promessi sposi”, tratto dal film di Luchino Visconti da Giuseppe Fallica per Le Vie dei Tesori.
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi