Pubblicato il 28 Gennaio 2022
Facciamo mente locale sul nostro modo di abitare
di Maurilio Ginex
A quasi vent’anni dalla prima edizione di Mente Locale (Eleuthèra, 2021) il testo di Franco La Cecla continua ad essere un testo più che mai attuale. Le motivazioni di questa attualità sono da riscontrare nell’osservazione di alcuni aspetti peculiari del mondo di oggi. Inizialmente bisogna dare uno sguardo al rapporto che l’uomo ha con il suo spazio, inteso come la vera realtà che ha davanti ai suoi occhi, dalla casa abitata, allo spazio urbanizzato in cui si muove, cercando di scorgere questa connessione “individuo-spazio circostante” attraverso uno sguardo “globalizzante”. Siamo nell’epoca in cui termini come “glocale” o “glocalismo”, sintetizzando categorie identitarie come “locale” e “globale”, sviluppati e teorizzati da studiosi come Roland Robertson o Zygmunt Bauman, rientrano sempre più nel vocabolario quotidiano dell’individuo.
Termini che oltre ad avere un significato specifico, esprimono segnali identificativi di una realtà in cui l’uomo, in rapporto con il mondo, oltre che non potere facilmente risiedere stabilmente in un luogo preciso, ritrovandosi perennemente in quella dimensione psicologica che Ernesto De Martino definisce “angoscia territoriale”, si ritrova a doversi confrontare con ambienti internazionali.
La Cecla richiama in causa il concetto di angoscia territoriale per evidenziare come, in conseguenza del fatto che l’individuo medio di oggi, per la complessità di esperienze – lavorative o di studio – per cui potrebbe essere chiamato a risiedere al di fuori del proprio habitat culturale e sociale, tende più facilmente a trovarsi in condizioni in cui si deve ambientare a un contesto diverso dal suo, un processo particolarmente lento e faticoso, ma che deve comunque mettere in atto. Un processo che in ogni caso riguarda la nostra realtà e che, come in La Cecla, anche in autori come Arjun Appadurai, di Modernità in polvere (Raffaello Cortina, 2012), ritroveremo ma affrontato per altre vie. Appadurai afferma, per esempio, attraverso la voce di un altro studioso come Paul Rabinow, che tra le sfide dell’antropologia attuale vi sono i meccanismi che modellano le forme culturali cosmopolite. Le stesse forme che vanno a produrre quella tipologia di spazio vissuto che in La Cecla assume nella sua essenza una varietà di aggettivi così da diventare spazio funzionale, relativo o fluttuante.
Osservando il globalizzato mondo che circoscrive le nostre vite, ritornando al concetto di far “mente locale”, possiamo notare come questo rientra anche in una sfera linguistica. Si tratta infatti di un’espressione dalle origine napoletane che nell’ottica dell’autore rende concretamente l’azione cognitiva del consapevolizzare un qualcosa che abbiamo appreso in quello specifico luogo, e che dà segni riconoscibili a cui aggrapparci. Cioè un giungere ad avere uno sguardo generale a partire da un particolare. Ma oltre a questo aspetto linguistico, il processo attraverso cui ragiona l’autore rientra in una sfera profondamente antropologica, intesa come consapevolezza dell’identità del luogo che ci ha accolto e in cui abbiamo vissuto essendone stati plasmati.
Il far mente locale diventa così una criticità da aggiungere alle contraddizioni che si presentano all’individuo, potrebbero essere un mezzo di “sopravvivenza” poiché, alla luce di una società che ci rende corpi mobili e individui liquidi e che crea modelli multiculturali chiusi di fronte alle peculiarità della dimensione locale, ci si ritrova ad essere “costretti” a rendere utile uno spazio da dover vivere ma non percepito come originariamente nostro, che sia una città in cui si risiede per questioni lavorative o una casa in affitto nella città in cui si è dovuto firmare il primo contratto di lavoro.
Il concetto a cui si allude con “rendere utile” rappresenta quel processo che vede normalizzato il legame che intercorre tra il particolare processo cognitivo che è la mente locale e la memoria dell’individuo in cui si cristallizzano le immagini, gli odori, i colori, i corpi, le forme, di uno spazio che rendi tuo e vissuto. La mente locale richiama in causa il localismo autoctono dell’esperienza di uno spazio e cerca di evidenziare che l’essere, con la propria corporeità, in un determinato contesto ha una autentica fruizione di quello spazio, rendendolo funzionale alla propria esistenza.
In seguito, l’idea di una nuova edizione del testo evidenzia svariati punti di riflessione sulla questione del rapporto tra individuo e spazio, e diventa un ottimo spunto di riflessione il fatto che questa seconda edizione viene pubblicata in un mondo trasformato dal Covid-19. La pandemia, ma in particolar modo i periodi di lockdown, hanno prodotto due aspetti che hanno cambiato le vite degli individui: l’ossessivo legame con lo spazio vissuto all’interno della propria casa-abitazione e l’esplosione dello smart working che ha enfatizzato quello che lo stesso autore nel testo chiama “ubiquità”, intitolando in tal maniera il penultimo capitolo. I continui decreti legge, degli ultimi due anni, che hanno imposto il permanere e lo svolgersi delle nostre vite all’interno delle rispettive case, come afferma lo stesso autore in un’intervista del 2021, in un certo senso hanno riportato l’individuo a ri-prendere in considerazione il luogo in cui il proprio corpo vive e risiede, cioè una consapevolezza di quell’influenza che ha avuto su di noi lo stare in uno spazio circoscritto.
In questo senso, La Cecla, definisce il meccanismo cognitivo del far mente locale come un qualcosa di “dannatamente concreto”. Una concretezza che se viene continuamente resa chiara ci porterebbe a vedere nell’universo dello smart working, il concetto di aspirazione all’ubiquità legato alla continua iper-connessione, una degenerazione dell’esserci heideggeriano nel mondo. Vivi in un qui, ma attraverso uno schermo accesso attraverso piattaforme virtuali (Zoom o Skype o altre) sei in un al di là del tuo qui e ora. Per Franco La Cecla la mente locale è un processo che può essere messo in atto soltanto se il tuo corpo si trova in un “qui”, fermandosi al qui e ora. E’ in questo profondo significato si sintetizza il senso di un testo in cui “il passaggio dal “qui e là” al “qui e qui” sembrerebbe quasi una vittoria della mente locale, che annulla con l’assoluto localismo ogni idea di altrove e ogni idea di un “più in là”.
Maurilio Ginex
Franco La Cecla, Mente locale, Elèuthera editrice, 2021, Milano
Fotografia House in the sky © Cédric Houmadi, aerial photographer
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi