Pubblicato il 3 Agosto 2022

La metafora del pane-ingera per capire la guerra civile in Etiopia

di Nicola Verde

In Etiopia ci sono due tipi di ingera (il tipico pane locale), uno bianco e uno scuro, ed entrambi vengono fuori da due qualità diverse dello stesso cereale chiamato teff. Quello più scuro è ricchissimo di ferro. Durante i pasti “si fa” un piatto unico e si mangia con le mani. L’ingera essendo spugnosa e morbida diventa la base sulla quale vengono messi qua e là i diversi wot (sughi) di carne e le diverse verdure più o meno speziate e condite col berberè piccante. Tutto è ben ordinato nel piatto ma tutto è vicino, tutto è distinto ma anche mischiato.

I sapori si urtano, si mescolano e talvolta si confondono. Bisogna essere davvero bravi a tenere distinti i sapori dentro un unico piatto senza che si perdano e nello stesso tempo tenerli insieme perché l’uno dia sapore all’altro. L’ingera mangiata con le mani sembra fatta apposta per lo shiro o forse lo shiro sembra fatto apposta per l’ingera (dicono che gli Etiopi vincono le maratone e le olimpiadi a forza di shiro fatto in casa tra le montagne dell’altopiano dalle nonne e dalle mamme). L’una non può esistere senza l’altro. L’una senza l’altro non ha senso. L’ingera senza shiro è sapore vuoto e lo shiro senza ingera è sapore perso, non ha chi lo prende. Insieme è sapore pieno.

Secondo il pensiero dell’antropologo francese C. Lévi-Strauss: “La cucina di una società è il linguaggio nel quale essa traduce inconsciamente la sua struttura”.
Possiamo allora chiederci: “Com’è la struttura della società Etiope tradotta nella sua cucina? E cosa ha da dirci l’ingera sulla guerra e sulla fatica che oggi sta vivendo l’Etiopia di tenere insieme le diversità socio-culturali dentro una visione politica unitaria per il paese?
In effetti anche nel linguaggio etiopico le parole sono distinte ma non distanti, sono mescolate, appiccicate e quasi si confondono, lottano per stare insieme perché l’una non può stare in piedi senza l’altra. Per esempio nell’espressione etiope Tena Yistellign! ጤና ይስጥልኝ, la parola Yistellign (che Dio ti dia attraverso di me Y ST L GN) è parola amarica che tiene insieme più persone (Dio, me e te) e più esperienze diverse in un’unica relazione di significato: quello del saluto che benedice.

In Etiopia ci sono 80 lingue diverse che sono l’espressione storica e culturale di gruppi etnici locali. L’amarico è la lingua ufficiale nazionale e ha il difficile compito di tenere insieme i diversi gruppi linguistici e sociali. Oggi lo stato dell’Etiopia si trova davanti la grande sfida di unire le diversità etniche e culturali, le stesse che purtroppo hanno generato non poche lotte e guerre interne negli ultimi anni. La rivendicazione etnica come “arma” culturale per la difesa dei diritti, dei territori da arare, delle risorse naturali o dei confini politici e geografici, è frutto del colonialismo europeo nel corno d’Africa. In particolare il processo coloniale italiano ha reso fissi e chiusi i gruppi etnici creando confini culturali rigidi e ben marcati, gli stessi che oggi vengono invocati per la lotta nello spazio politico. Prima del colonialismo le categorie etniche erano più aperte e più morbide, più spugnose, sfumate e porose.

La sfida oggi è quella di tenere i confini culturali, spirituali e sociali aperti perché ciascun gruppo sociale venga riconosciuto e reso partecipe della costruzione democratica del paese. Un processo di partecipazione corale dove ogni stato regionale possa dare quel pezzo di democrazia che l’altro non ha, e soprattutto perché nessun gruppo etnico può esistere senza l’altro. L’uno sarebbe vuoto, mentre l’altro sarebbe perso. Solo insieme appunto e in una relazione di reciproco riconoscimento e reciproca contaminazione si può generare una vita di significato che abbia il sapore della pace e della convivenza.

Nicola Verde

Nicola Verde è un frate cappuccino in missione in Etiopia.

Illustrazione: il pasto comune intorno al piatto di ingera e stufati di carne, in TheArtoftheMeal, EthiopianFood

Il berberé è un mix di spezie a base di cumino, aglio, cardamomo, pepe nero, porro, peperoncino piccante, zenzero, curcuma.

 Lo shiro è uno stufato omogeneo formato principalmente da polvere di ceci o fave.

 Lévi-Strauss C., Mitologica III. Le origini delle buone maniere a tavola, Milano, Il Saggiatore, 1971.

 “che Dio ti dia salute attraverso di me”.

 Cfr. Calchi Novati G.P., L’Africa d’ Italia, Roma, Carocci editore, 2019.

 Puddu L., “Caduta di Addis Abeba non è imminente”, 5 novembre 2021, Adnkronos, www.adnkronos.com.

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