Pubblicato il 9 Luglio 2022
Per farla finita con la famiglia: gambe chiuse, porti aperti e altre idee per generare parentele
di Angela Balzano
Molte amiche femministe mi hanno insegnato che la maternità è desiderio di apertura, sperimentazione del divenire altro che fa perdere contezza della finitudine del corpo proprietario. Non sono un’antinatalista, ma neppure un’essenzialista. Sono un’attivista che cerca soluzioni efficaci per problemi che ci trasciniamo dietro da tempo e sono consapevole di quanto sia scomoda la soluzione proposta da Haraway (2019a): generate parentele, non bambini!
Vedo in questo suo slogan sintetizzate troppe questioni complesse.
Proviamo a scioglierle con un po’ di prove microfono.
Uno-due-uno prova microfono: generare parentele, non popolazioni!
Questa prova microfono la dedico ai razzisti, a coloro che gioiscono a saperci indifferenti all’indifferenza in cui crescono tropp* bambin* già nat*, perché non sono cittadin*, sono migrant*. La dedico agli antiabortisti che si accaniscono sui diritti di chi non è mai nat* dimenticando per scelta che ci sono milioni di nat* che non hanno accesso ad alcun diritto. La dedico alle/agli ossessionate/i dalla riproduzione biologica, guarda caso spesso eterosessuali bianche/i e occidentali che preferiscono produrre una nuova vita (a loro ascrivibile) che prendersi cura dell’uman* che è già (o questo uman* è un po’ meno uman* perché non è bianco, non è europeo and so on?).
È forse impegnativo costruire una tale lotta politica, ma la immagino più o meno così: affianchiamo agli sforzi in mare di Carola e Pia Klemp, della Mare Jonio e della SeaWatch degli sforzi sulla e per la Terra. La risposta da dare non solo ai Salvini nostrani ma alla Fortezza Europa tutta sarebbe composita: lo sciopero riproduttivo da un lato, la piena accoglienza e cura dell’alterità dall’altro. Leggo Preciado insieme a Haraway e gioisco al pensiero del potenziale sovversivo che proviene dalla combinazione dei loro slogan. Ricordate il suo intervento dal titolo Sciopero degli uteri?
Concordo pienamente con Preciado quando scrive: “Come corpo nato con un utero, chiudo le gambe al cattonazionalismo”. Come Preciado, sono consapevole che “ogni donna ha dentro di sé un laboratorio dello Stato-nazione dalla cui gestione dipende la purezza dell’etnia nazionale”.
Dunque uno slogan antirazzista e femminista all’altezza di tempi/spazi/sfide, il primo punto dell’agenda politica per la decrescita ri/produttiva, per me potrebbe essere: Gambe chiuse! Porti aperti!
Non so voi, ma io rivendico la sottrazione: vulva sottratta alla nazione, alla religione, al capitale, alla scienza, vulva che non intende procreare “al servizio della politica nazionalista”, vulva dedita piuttosto ai piaceri della disfunzionalità, a compostare, tramare, ibridare. Allo sciopero degli uteri occorre affiancare la generazione di parentele, solo così potremmo inquinare la purezza dell’etnia nazionale.
Ci sono mezzi e vie molto concrete, neppure troppo ostiche, per non generare popolazioni ma parentele. Penso all’affido familiare, che certo non è l’adozione, ma permetterebbe di far decrescere il numero di migrant* minor* non accompagnat* che vivono nei centri di accoglienza: il 94%.
A me pare insostenibile, talmente insostenibile che penso che non ho mai partorito e non vorrò mai farlo, ma voglio iscrivermi all’elenco di tutor disponibili ad assumere la tutela di minor* stranier* non accompagnat*. Mi gira la testa, mi chiedo come farò da precaria della ricerca single che lavora dieci ore al giorno e viene pagata per la metà, ma suppongo giri la testa a tutte le persone che vogliono diventare genitori, no?
Se non avrò da sola le forze per farlo… anzi, spero di non avere da sola le forze per farlo. Il cyborgfare eco/transfemminista non è individualizzante né atomizzato: do it together. Spero di poterlo fare con qualcun’altra. Fare con, simpoiesi, organizzarsi in s/famiglie contro lo Stato-nazione e per la sopravvivenza della Terra: chiudendo le gambe e aprendo i porti potremmo contribuire alla rigenerazione del non-umano.
Angela Balzano
Angela Balzano, Per farla finita con la famiglia. Dall’aborto alle parentele post-umane, Meltemi, 2022
Installazione fotografata e descritta nel libro, pp.10-12: Heidi Holmes, I am woman, hear me roar as I push out this Science Baby, 2015. L’opera di Heidi Holmes è del 2015 ed è così descritta dall’artista: Macchina per ultrasuoni transvaginali, acqua arricchita con ormone per stimlazione ovarica, piante da laghetto; Hemianthus Callitrichoides, Myriophyllum Papillosum, Thalia Geniculata var. Ruminoide, pompa dell’acqua, tubo interno, vernice acrilica color osso e color carne, perspex, rivestimento per laghetti in fibra di vetro. I credit per la foto sono di Christo Crocker.www.wheelercentre.com/notes/work-of-art-on-creativity-and-assisted-reproductive-technology
Angela Balzano è ricercatrice precaria eco/cyborg/femminista, coordinatrice e docente del modulo Scienze del Master in Studi e politiche di genere dell’Università degli Studi Roma Tre. Attualmente è docente a contratto presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e tutor in Women and Law per il Master GEMMA. Ha curato le traduzioni: Il postumano (2014) e Materialismo radicale (2019) di Rosi Braidotti; Biolavoro globale (2015) di Melinda Cooper e Catherine Waldby; Le promesse dei mostri (2019) di Donna Haraway. Con Carlo Flamigni ha scritto Sessualità e riproduzione (2015).
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi