Pubblicato il 26 Settembre 2022
Che cos’è la maschilità ?
di Alice Manfroni
Che cos’è la maschilità? Una domanda apparentemente banale e che, tuttavia, non trova una facile risposta. Mentre penso a come rispondere, da persona socializzata come donna, facendo ricorso agli studi di genere, alle teorie queer, agli scritti di studiosɜ che hanno rivoluzionato il campo dei men’s studies (una branca all’interno dei più generali gender studies), mi fermo in preda all’ansia da prestazione e decido di andare a vedere la definizione del vocabolario Treccani che indica brevemente: “L’essere maschio o maschile; complesso (e possesso) dei caratteri che sono, o sono ritenuti, tipici dell’uomo, in quanto maschio; virilità (in senso generico).” Ecco, una definizione semplice, diretta, breve che rimanda immediatamente all’idea che quando si parla di maschilità si parla di uomini e di maschi, punto. Ma cosa non viene detto in questa voce? È davvero così importante riferirsi a una definizione per parlare di maschilità?
Negli ultimi anni, in Italia, si pone sempre più attenzione all’identità maschile, grazie soprattutto ai discorsi che si sono diffusi sulla maschilità e ai significati che essa può avere. Ormai anche nei media mainstream, capita di incontrare dibattiti e discussioni sulla “maschilità tossica” e iniziano a circolare modelli estetici “alternativi”, pensiamo, ad esempio, allo smalto per le unghie o alle gonne indossate da attori e personaggi famosi. Tuttavia, ai bambini continua ad essere detto di “non piangere come una femminuccia” e la differenziazione di genere riguardo a ciò che è per “maschi” e per “femmine” è ancora molto marcata (negli sport, nei giochi, nei modelli culturali). La violenza di genere e le disuguaglianze economiche e sociali sono una realtà ben presente e visibile nelle esperienze di vita delle donne e i numerosi femminicidi riportati, quasi quotidianamente, dai media ci ricordano che il modello maschile dominante è frutto di una società ancora fortemente patriarcale.
In tale contesto, siamo circondatɜ da discorsi e narrazioni contradditorie sulla maschilità in cui, a fianco della maschilità tossica e dell’uomo violento, vengono proposte “nuove” rappresentazioni della maschilità. Troviamo quindi nuove estetiche che liberano le potenzialità dell’espressione di genere maschile e che, tuttavia, vengono fagocitate dal sistema neoliberista che mercifica le differenze e le rigetta nel mercato spogliate dei rapporti di potere che le sottendono. Vi sono ruoli sempre più rappresentati e che si scontrano con il piano istituzionale e quotidiano dei rapporti di genere: è il caso, ad esempio, dei papà quali figure genitoriali centrali nella cura della famiglia, seppure il congedo di paternità in Italia è di 10 giorni e il lavoro di cura viene svolto principalmente dalle donne. O ancora, sono sempre più diffusi discorsi che colpevolizzano le donne per una nuova condizione “svantaggiata” del maschile, riproducendo in tal modo la stessa violenza sessista contro le donne di cui, invece, si sentono vittime (pensiamo alle narrazioni sugli uomini con disagi psicologici e sociali a causa dei cambiamenti storico-culturali dei rapporti tra i generi).
Queste “nuove maschilità” che sono entrate nello spazio pubblico e mainstream, portano a dimenticare di guardare ai privilegi e alle maggiori possibilità che gli uomini continuano ad avere nella nostra società. Distolgono, quindi, l’attenzione dall’asimmetria di potere su cui si fondano i rapporti di genere. Il maschile, infatti, continua ad essere il punto di riferimento non marcato, neutro, dal quale si osservano e definiscono la società, i fatti e le relazioni. La critica alla maschilità “tossica”, “dominante”, “egemonica” deriva, infatti, innanzitutto dalla consapevolezza che il dominio e l’oppressione maschile abbia radici culturali e non naturali. Il riconoscimento del potere e dei privilegi degli uomini sono stati passaggi fondamentali per osservare la maschilità come qualcosa di culturalmente determinato. Tale consapevolezza ha portato i gender studies e i movimenti femministi e queer a decostruire e mettere in discussione le idee dominanti sulla maschilità, per cui sempre più uomini tentano, oggi, di sottrarsi alla socializzazione maschile del “devi comportarti da vero uomo”. Infatti, per essere un “vero uomo” non basta essere nati con un’anatomia maschile, ma bisogna “comportarsi da maschi” e mettere quotidianamente in scena una performance di maschilità normativa. E qui allora torniamo alla domanda iniziale: cos’è quindi la maschilità?
Non passa inosservato, credo, che quando si parla di maschilità, nel nostro contesto socioculturale, il soggetto sott’inteso a cui pensiamo è un uomo cisgenere, eterosessuale, bianco, adulto, di classe media e abile. “Eppure”, come scrive Jack Halberstam, “è evidente come molte altre siano le linee di identificazione che intersecano il territorio della maschilità, distribuendo il potere ad essa associato mediante complessi differenziali di classe, razza, sessualità e genere”. (Halberstam 2010: 27). Guardare alla maschilità in un’ottica intersezionale porta a sottrarci ad una visione dicotomica (maschilità – femminilità) e a considerare, ad esempio, che quando parliamo di maschilità non parliamo solo, o per forza, dell’”essere maschio o maschile”. Sganciare la maschilità dall’”essere maschio”, riconoscendo la natura culturale e performativa del maschile, consente di dare spazio, visibilità, legittimazione a tutte quelle maschilità che si discostano dalla maschilità dominante per un corpo non conforme alle norme di genere, per il colore della pelle, per l’orientamento sessuale, per la dis/abilità. La maschilità può infatti significare e assumere molte forme diverse che spesso non vengono legittimate, in quanto la maschilità dominante si fonda anche sulla subordinazione di altre possibili maschilità (pensiamo ad esempio alle maschilità razzializzate, trans, omosessuali o bisessuali). Si può infatti dire che la maschilità (così come la femminilità) abbia un significato normativo che si traduce attraverso i corpi bianchi, cisgenere, eterosessuali, abili e di classe media.
Come scrive Lorenzo Gasparrini “Chi non nasce uomo bianco etero sperimenta bene cosa una società – chiamata patriarcale per coerenza storica – chiede di diverso rispetto a sé e secondo le direttrici di poteri che ineriscono la forma del proprio corpo, il colore della propria pelle, il ruolo sociale che la cultura locale esige dal genere di appartenenza e dal valore dato all’orientamento sessuale. Queste sono critiche preziose, testimonianze importanti, pratiche da comprendere e trasformare per sé, non colpevolizzazioni da travisare.” (Gasparrini 2021). Considerare queste esperienze di maschilità e farle emergere nello spazio pubblico, permette di rendersi conto che nella “normale” educazione maschile quei “caratteri che sono, o sono ritenuti, tipici dell’uomo” sono condizionamenti funzionali alla costruzione di una particolare forma di maschilità. Dice sempre Gasparrini “Quei condizionamenti sono molto spesso elementi tossici: immaginarsi destinati al ruolo di breadwinner (capofamiglia), arrogarsi il diritto di parlare dei corpi altrui, non considerarsi come genere, scambiare i propri privilegi sociali per caratteri innati o casualità sociali, imparare a mascherare e nascondere la propria interiorità fino ad ammutolirla.” (Gasparrini 2021). Elementi che, a partire dalla propria esperienza e storia personale, possono essere decostruiti e rifiutati grazie a un confronto collettivo.
Arrivata fin qui, mi rendo conto che la domanda che ha guidato queste mie riflessioni, “che cos’è la maschilità?”, non mi porta quindi a trovare una definizione stabile della maschilità, quanto piuttosto ad innescare un esercizio di pensiero critico sul maschile che ognunə può avviare a partire dal proprio specifico posizionamento.
Parlare di maschilità può portare quindi a parlare anche di tutto questo e sono proprio questi discorsi che non ritroviamo nello spazio pubblico e mainstream. Parlare di maschilità subordinate non porta a negare il rapporto tra maschilità e privilegio, ma permette di riconoscere tale posizione privilegiata all’interno di una cornice di complessità che troppo spesso si perde. Le esperienze e i corpi degli uomini razzializzati, trans, bisessuali, omosessuali, poveri e disabili fanno emergere maschilità incarnate che si sottraggono alla mercificazione delle differenze e ai discorsi vittimistici degli uomini. In questo modo, sganciano il discorso sulla maschilità dall’”essere maschio” e lo connettono alle tante altre categorie che influenzano e modificano la maschilità stessa, producendo nuovi discorsi a partire dai privilegi, dal potere e dalle esperienze personali di rifiuto, accettazione e negoziazione dei modelli dominanti. Non è quindi certo un Brad Pitt con la gonna e con i suoi tanti privilegi da uomo cis etero bianco e ricco a scuotere e perturbare la maschilità dominante, quanto piuttosto uomini che, a partire dalle loro differenze, si impegnano a decostruire i propri privilegi, anche certamente attraverso nuove estetiche. Progetti di questo tipo hanno cominciato, per fortuna, a prendere forma dal basso nei movimenti e negli spazi femministi e queer, e ci guideranno presto verso nuove traiettorie della maschilità.
Alice Manfroni
Riferimenti
Connell, R. W. 1996. Maschilità. Identità e trasformazioni del maschio occidentale. Milano. Feltrinelli.
Gasparrini, L. 2021. “La sorellanza femminista che noi uomini dobbiamo ancora creare” in Valigiablu.it. https://www.valigiablu.it/femminismo-uomini/
Gasparrini, L. 2020. Perché il femminismo serve anche agli uomini. Giuliano Milanese (MI). Eris Edizioni.
Halberstam, J. 2010. Maschilità senza uomini. Scritti scelti. Pisa. Edizioni ETS.
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi