Pubblicato il 5 Marzo 2024

Oltre natura e cultura, Philippe Descola e i diversi modi di essere umani

di Alice Zaccagnini

Philippe Descola, filosofo e antropologo di grande fama nella nostra contemporaneità è autore del volume Oltre natura e cultura (Raffaello Cortina editore, 2021) in cui presenta un approccio nuovo all’antropologia commentando criticamente il modo e il metodo con cui ha oggettivato il proprio campo di studio: l’uomo culturale. Potremmo indicare la sintesi di questo movimento circolare nel valore di quella prima parola della sua opera: Oltre.

Da questo termine scaturisce non solo l’obiettivo teorico dell’antropologo francese ma anche l’invito, tutt’altro che implicito, al soggetto naturalista di accogliere altre prospettive di senso alternative al discorso suscettibile di essere vero o falso.

Al centro dell’analisi antropologica descoliana troviamo un elemento di grande originalità: la pratica umana intrinsecamente legata alla costruzione di realtà. Proprio la grande attenzione al fare umano permette al filosofo di parlare di ontologie al plurale e di indagarle in termini comparativi. Un pluralismo che si sposa perfettamente non solo con la critica al tradizionale approccio con cui l’antropologia ha oggettivato il proprio campo di studio, l’uomo culturale, ma anche con la proposta di un nuovo paradigma di indagine che si distingue fin dal titolo, atto a superare la logica strutturalista dal suo interno.

Il termine “Oltre” esplicita l’invito al soggetto naturalista di accogliere altre prospettive di senso alternative al discorso apofantico, liberandosi dalla logica dualistica e identitaria.

L’efficacia dell’analisi descoliana non solo riassume in quell’ “Oltre” il grande limite dell’adulto occidentale e positivista ma indica anche la necessità di avere un qualche campo dell’antropologia che non si fermi allo studio dell’antropos in senso stretto ma che ne indaghi la relazione con l’altro, il non umano, non nell’unico canone dell’opposizione.

In questi termini, l’inserimento del naturalismo (e delle sue “certezze) all’interno di una quadripartizione ontologica  come parte inerente di uno schema comparativo (nb. l’ontologia è la disciplina filosofica che cerca di scoprire che cosa c’è: quali entità costituiscono la realtà, di che materia è fatto il mondo), è una proposta da leggere all’interno della più ampia cornice teorica della “svolta ontologica”, su cui sicuramente verte l’originalità descoliana.

Le ontologie messe in evidenza da Descola individuano un’ontologia animista caratterizzata da una continuità dell’interiorità e una discontinuità della fisicità; un’ontologia naturalista che si pone all’opposto e le ontologie del totemismo e dell’analogismo, che postulano rispettivamente due assi di continuità e due assi di discontinuità.  Sarebbe tuttavia erroneo pensare che il modo di identificazione degli enti basti per articolare tutta la varietà dei “collettivi umani”, per riprendere un termine descoliano.

Ponendosi dunque in contrasto con la tendenza dell’antropologia di quest’ultimo secolo, intenta ormai da anni a focalizzarsi su casi etnografici sui generis che non rendono possibile una comparazione sistematica, l’autore ha utilizzato la comparazione su larga scala per andare a tracciare un “cartografia delle possibili relazioni umane” ripercorrendo e superando lo strutturalismo del proprio maestro, Levis Strauss.

Lo strutturalismo non è infatti qui postulato come una cornice interpretativa per lo studio delle culture ma diviene un mezzo, in parte epistemologico e in parte descrittivo, che permette di scorgere altre prospettive per niente strutturali né dicotomiche. Attraverso vari excursus di casi etnografici, compresi i propri lavori, Descola ci racconta altre realtà: ci racconta di persone-maiale, di metamorfosi, di etica della caccia, di totem e di spiriti bambini, di altri modi di essere umano.

Nel volume, l’antropologo supera il percorso del maestro, andando a individuare quella via di mezzo che mancava tra alcuni schemi cognitivi universali e l’attuazione delle particolarità culturali – l’acquisizione di un particolare schema integrativo della pratica. Come anticipato tuttavia, la chiarezza espositiva con cui l’antropologo francese ci racconta di altre verità è permessa dal metodo logico-strutturalista con cui elabora le sue tesi, metodo proprio di un antropologo moderno occidentale ed efficace per il suo pubblico di lettori.

Questo metodo ha consentito a Descola di mettere in luce un altro modo di strutturalizzare l’esperienza: la relazione.

È proprio in questa che si scorge una delle apparenti contraddittorietà del filosofo. Se in un primo momento, nella formulazione delle quattro ontologie, aveva precisato come l’identificazione, in quanto concerne la realtà e la natura degli enti, avesse un primato logico sulla relazione, più avanti, verso la fine dell’opera, sembra dire il contrario a proposito del caso dell’animismo: qui la relazione ha la meglio sull’identificazione. Come anticipato, in realtà si tratta semplicemente di un’apparente contraddizione, sotto la quale possiamo scorgere la consapevolezza di un necessario utilizzo epistemologico di una struttura unitaria per rivolgersi a un pubblico prevalentemente naturalista, abituato allo schematismo e a una logica apofantica.

In questo senso il valore dell’opera descoliana si esprime nell’invito all’ epochè, ad un pensare oltre, liberandosi dall’approccio dualistico e identitario, a scoprire nuovi mondi prospettici al fine di acquisire nuovi strumenti per leggere il nostro di mondo, anch’esso necessariamente immerso nella pratica e per questo inevitabilmente prospettico.

Alice Zaccagnini

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