Pubblicato il 1 Marzo 2023
Mai più guerre! I conflitti armati visti con gli occhi dei bambini – Testimonianze
di Melissa Pignatelli
«Questo libro è stato pubblicato per rendere note al mondo le grida di questi
bambini. Urlano: “Niente più guerre!” È la loro sola e unica speranza. […]
Mai più guerre! Ecco l’invocazione dei bambini »
Takashi Nagai, da Genshigumo no shita ni ikile, Tokyo 1949
«La guerra accade alle persone, alle singole persone. È davvero tutto ciò che ho da dire, e mi sembra di dirlo da sempre. A meno che non siano vittime dirette, quasi tutte le persone si comportano come se la guerra fosse un atto divino che non poteva essere evitato; o come se una guerra in un altro luogo non le riguardasse»
Martha Gellhorn (1908-1998, corrispondente di guerra americana), The Face of War, London 1959
Seconda Guerra Mondiale, Olocausto 1941-1945
«Cara mamma, per la festa della Simchat Torah ti ridò quello che ti ho preso.
Volevo ridartelo ieri sera, visto che eri triste perché non avevi neanche lo
zucchero o la margarina e mi spiaceva per te. Ti mando una parte del regalo,
e la seconda, che è meno importante, te la darò la sera della Simchat Torah.
Tuo figlio, Mis ̆a.»
Michael (Mis ̆a) Grunbaum nacque il 23 agosto 1930 a Praga, figlio di un avvocato ricco e di successo. Nell’ottobre del 1941, la Gestapo arrestò il padre Karel che fu ucciso a quarantaquattro anni. Nel novembre del 1942 la famiglia fu deportata a Theresienstadt. Michael fu alloggiato in un dormitorio per ragazzi nell’Edificio L417, insieme a quaranta coetanei che si facevano chiamare Nesarim (aquile). I Grunbaum rimasero a Theresienstadt finché l’esercito sovietico non li liberò, l’8 maggio 1945.
Solo un quarto circa dei Nesarim sopravvisse.
Con “Olocausto” o “Shoah” si intende lo sterminio di massa di circa sei milioni di ebrei durante la Seconda guerra mondiale, in un programma di assassinio sistematico appoggiato dal governo della Germania nazista, sotto la guida di Adolf Hitler e del Partito Nazionalsocialista, in tutto il Reich e i territori occupati dai tedeschi. Dei nove milioni di ebrei residenti in Europa prima dell’Olocausto, circa due terzi furono uccisi.
Nella Shoah persero la vita più di un milione di bambini ebrei. Per l’uccisione degli ebrei e delle altre vittime fu istituita una rete di campi di concentramento in Germania e nei territori occupati dai tedeschi. Quando la Germania annetteva o invadeva altri stati, gli ebrei venivano privati del passaporto e dei loro beni e mandati incontro alla morte nei campi di concentramento. I tedeschi annetterono la Südetenland (regione germanofona della Cecoslovacchia) nel 1938, e nel 1939 invasero la Cecoslovacchia.
Seconda Guerra Mondiale, Nagasaki
«Quest’arma dovrà essere usata contro il Giappone entro il 10 agosto. Ho detto al Min. della guerra Stimson di fare in modo che l’obiettivo siano strutture militari, soldati e marinai, non donne e bambini. […] Sarà un obiettivo puramente militare».
Harry S. Truman, presidente degli USA, 25 luglio 1945
«Era una giornata serena, non c’era una nuvola. […] Mia madre era andata nel campo a raccogliere melanzane. Uscendo aveva detto: “Alle undici accendete il fuoco nella stufa”. Ma ci stavamo divertendo un sacco, e quando arrivarono le undici nessuno si alzò. Eravamo tutti presi dal gioco. Per caso guardai dalla finestra. In quel momento ci fu una fiammata simile a un lampo. “Oh…” Barcollai. Poi, non so come, mi trovai bloccata sotto la casa. Non riuscivo a muovermi. […]
Dopo un po’ mia sorella maggiore tornò di corsa insieme a quattro o cinque marinai. Mi salvai grazie a loro. In lontananza vidi qualcuno precipitarsi verso di noi. Aveva i capelli scompigliati. Era una donna. Sembrava nuda. Un corpo violaceo. Ci chiamava a squarciagola. Oh! Era mia madre. Era quasi completamente nuda. Il cappotto e i pantaloni erano bruciati e sbrindellati. I capelli erano diventati di un marrone rossiccio, ed erano crespi e spezzati come se si fosse fatta una permanente troppo forte. Aveva ustioni su tutto il corpo. La pelle era rossa e unta. La pelle sulla spalla destra non c’era più, lasciando scoperta la carne viva e il sangue rosso che sgorgava senza sosta. Mia madre cadde a terra esausta. […] Cominciò a sentire il dolore. Dopo essersi lamentata e dimenata fra atroci sofferenze, quella notte morì.»
Michiko Ogino, 10 anni nel 1945, testimonianza del 1949
«[Dopo il bombardamento] guardando le montagne sopra di me, vidi alcuni pezzi di carta appesi agli alberi. Dal cielo cadevano un sacco di fogli bianchi. Ne raccolsi uno e scoprii che era un volantino scritto in giapponese. “Continuerete a combattere anche adesso? Se non smetterete, subirete molti altri bombardamenti. Dite all’Imperatore di far cessare la guerra!” […] “Buon Dio, che crudeltà!” mormorò mia madre, e stracciò il foglio.»
Teruyuki Fukahori, 11 anni nel 1945, testimonianza del 1949
Medio Oriente, 2006 Israele e Palestina
«So che è in corso una guerra ma non so il perché. Preferirei che ci fosse la pace. Alla tivù parlano di bombe, di bombe che scoppiano nei negozi e sugli autobus, e io ho paura. I miei genitori fanno una faccia preoccupata quando leggono il giornale o ascoltano la radio. Non so perché i palestinesi ce l’hanno così tanto con noi. Siamo brava gente. Non conosco neanche un palestinese. Se incontrassi una bambina palestinese della mia età potremmo giocare insieme. Così capirebbe che sono brava e gentile e non vorrebbe farmi saltare in aria.»
Danielle, israeliana, 8 anni
«I soldati ci sono sempre stati. Non gli piacciamo. Ho visto le cose che fanno. Sono tutt’attorno a noi. Lanciano bombe a gas, sparano ai bambini, distruggono case, arrestano le persone e le fanno rimanere un sacco di tempo sedute per terra con gli occhi bendati. E loro stanno lì a ridere e a farle soffrire. Ovviamente i soldati mi hanno fatto del male. Come a tutti quelli che conosco. Hanno ferito o ucciso molti bambini che conosco, più piccoli di me. Ho visto i soldati sparare addirittura a un’ambulanza. Se ne fregano. Vogliono solo ucciderci tutti.»
Salam, palestinese, 12 anni, sorella minore dell’attentatrice suicida Ayat al-Akhras
Siria, 2014
«Siamo in Libano da sei mesi. Sono venuto con mia madre e tre sorelle, per scappare dalla violenza. Ci sono voluti due giorni di autobus per arrivare in Libano. È stato un viaggio lunghissimo e difficile. A molti posti di blocco ci hanno fermati e obbligavano gli uomini a consegnare i soldi. Amavo la Siria. Là uscivamo e ci divertivamo. Andavo a scuola. Ma abbiamo smesso di andarci quando un mio amico è stato ucciso. Mi manca la scuola, i miei amici e giocare con loro. Spero che la situazione in Siria si calmerà e potremo tornare a casa il prima possibile.»
Najem, 13 anni
«Sono palestinese e vivevo in Siria. Sono venuta in Libano due mesi fa con mio fratello e mia madre. Mio padre è stato fermato a un posto di blocco e torturato a morte. Ci hanno detto che aveva tutte le ossa rotte. Siamo scappati quando un brutto bombardamento ha distrutto tre edifici e molte case nella nostra zona. Così abbiamo deciso di venire in Libano. Ho finito la quinta ma ho smesso di andare a scuola perché è stata distrutta. In Siria giocavamo sempre. Prima della guerra eravamo al sicuro. Ora non possiamo giocare da nessuna parte. Mio zio è stato arrestato e suo figlio ucciso. Ho portato solo un orsacchiotto che mi ha preso mio padre quando ho finito la seconda elementare.»
Salwa, 11 anni
«Bombardavano ogni giorno e continuava a morire gente che conoscevamo. Avevo molta paura. Anche casa nostra è stata distrutta e non sapevamo dove andare. Poi uno dei miei cugini è rimasto ucciso. Aveva cinque anni. Era fuori casa a giocare con altri bambini. C’erano anche i suoi genitori e gli adulti. Hanno sentito un’esplosione forte lì vicino e sono andati a vedere se l’altra famiglia era ferita. Pochi minuti dopo c’è stata una grossa esplosione proprio dove giocavano i bambini. Gli adulti sono tornati di corsa ma il mio cuginetto era già morto.»
Hadeel, 12 anni
«Sono venuta in Libano all’inizio del conflitto con i miei genitori e sette fratelli e sorelle. Credevo ci saremmo rimasti solo un paio di mesi, ma ormai siamo qui da tre anni. Un mio parente è stato ucciso da un cecchino. Il proiettile gli ha trapassato la testa da parte a parte. Adesso tutta la famiglia è qui, compresi i miei nonni e la zia. Abitiamo tutti insieme in un appartamento. Là ci divertivamo e giocavamo. In giardino avevamo aranci, fiori e una gatta con quattro micini. Ho smesso di andare a scuola quando ho finito la seconda elementare. L’ho ricominciata in Libano e adesso sono in quarta. Voglio diventare un’insegnante di francese e tornare in Siria.»
Rima, 10 anni
Selezione a cura di Melissa Pignatelli
Le testimonianze dei bambini raccolte nel libro riguardano inoltre La guerra civile spagnola e il bombardamento di Guernica nel 1937, il bombardamento di Dresda nel 1945, I khmer rossi in Cambogia nel 1975-1979, la guerra in Darfur nel 2004, la guerra in Libano 2006, la Rivoluzione dei Gelsomini in Tunisia 2012
si ringrazia Palazzo Strozzi per la concessione del testo MAI PIÙ GUERRE I conflitti armati visti con gli occhi dei bambini, 2015, edizioni Mandragora per Palazzo Strozzi
1914-2014, a cura di James M. Bradburne
La pubblicazione è stata pensata per accompagnare la mostra
Picasso e la modernità spagnola, Opere dalla collezione del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía che si è tenuta a
Firenze a Palazzo Strozzi
dal 20 settembre 2014 al 25 gennaio 2015
Immagine: Pablo Picasso (Malaga 1881-Mougins 1973) Testa piangente (VI). Post scriptum a “Guernica” 13 giugno 1937, matita, gouache, matite colorate su carta telata, mm 291 x 231. Collezione del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid, Legato Picasso, 1981, DE00096 esposta per la mostra Picasso e la modernità Spagnola a Palazzo Strozzi, sopracitata.
Rivista di Antropologia Culturale, Etnografia e Sociologia dal 2011 – Appunti critici & costruttivi