Pubblicato il 1 Ottobre 2024

Pensiero meticcio, la logica complessa della realtà

di Melissa Pignatelli

Ne Il pensiero meticcio (appena ristampato da Elèuthera) gli autori François Laplantine e Alexis Nouss ci rendono consapevoli del fatto che la realtà non è altro che un insieme di componenti stratificati dal tempo e dalle usanze. Nella loro esposizione rendono espliciti i vari “strati” che compongono ogni aspetto delle culture umane, dai saperi alle tecniche, dalle religioni alle identità, dal pensiero alle scienze: sono tutti risultati compositi e complessi, frutto di incontri, incroci, apporti, apprendimenti, sedimentazioni, tempi e logiche ibride (come abbiamo ricordato qui nell’articolo Culture ibride) che non sono e non possono mai essere “puri”.

Come leggiamo nella chiara prefazione al testo: “Il termine métis (meticcio), proveniente dal latino mixtus, che significa «mescolato», compare per la prima volta in spagnolo e in portoghese in epoca coloniale (così come le parole «mulatto», «creolo», «sanguemisto»). Tuttavia, la nozione prende forma nell’ambito della biologia per designare gli incroci genetici e la produzione di fenotipi, ossia di fenomeni fisici e cromatici (il colore della pelle) che serviranno come supporto alla stigmatizzazione e all’esclusione”.

Nel prendere coscienza delle molteplici sfaccettature che compongono le culture, riconosciamo la forza che la diversità porta alla costruzione delle varie identità e dei pensieri meticci che le contraddistinguono. Come scriveva Pierre Charron nel XVI secolo: «Tutte le cose a questo mondo sono mescolate e stemperate con i loro opposti… Tutto è mescolato, nulla è puro fra le nostre mani». Ma mentre la purezza è un’illusione rassicurante, la realtà del meticciato è inquietante. Infatti:

“Il pensiero ancora oggi largamente dominante è un pensiero della separazione che procede tanto a un’organizzazione binaria del nostro spazio mentale quanto a una ripartizione dualista delle persone e dei generi: il civilizzato e il barbaro, l’umano e l’inumano, la natura e la cultura, gli aborigeni e gli allogeni, il corpo e lo spirito, il ludico e il serio, il sacro e il profano, l’emozione e la ragione, l’oggettività e la soggettività. Questo pensiero trova una delle sue espressioni nella costituzione di forme pure distribuite attorno ai due poli del sapere razionale e della finzione artistica, che non devono frequentarsi e ancor meno mischiarsi. Michel Serres ha riassunto così questa posizione, criticandola: «Non c’è mito nella scienza e non c’è scienza nel mito».

La logica delle separazioni a «cascata» appena evocate e alle quali aggiungeremo ancora le opposizioni tra l’astratto e il concreto, il generale e il particolare, ha condotto a un ritrarsi di ciascuno dei protagonisti sulle proprie posizioni e alla conferma rassicurante che gli spazi (culturali, ma anche mentali) dovevano restare tramezzati.

Le delusioni indotte dalle promesse dell’universalismo astratto hanno condotto a contrazioni particolariste di cui continueremo a sentir parlare: l’assoluto della purezza religiosa, l’affermazione culturale esclusiva attraverso il radicamento restrittivo nel territorio o nella memoria, la tesi dell’etnicità che veicola sovente in maniera larvata il razzismo.

In un simile contesto il culturalismo* (termine utilizzato per designare l’antropologia culturale nord-americana) può ben essere mobilitato a legittimazione di tutte le rivendicazioni di monoappartenenza identitaria e di rigetto degli «stranieri». Per quanto riguarda il multiculturalismo (la political correctness nord-americana, la rivendicazione dei diritti delle minoranze e delle «comunità etniche», l’apologia del pluralismo terapeutico…), vedremo come esso sia l’esatto contrario del meticciato. Esso si fonda sulla coabitazione e la coesistenza di gruppi separati e giustapposti, decisamente rivolti verso un passato che si deve proteggere dall’incontro con gli altri.

Il discorso del puro, del semplice, del chiuso, del distinto e della frontiera (ciò che è chiaramente identificato, concepito come ciò che deve restare identico, l’essere che è solamente se stesso senza mischiarsi con nient’altro, l’appartenenza a un campo e il suo corollario, la trasgressione, che vi bolla di complicità, di intelligenza con il nemico) è un discorso privativo: senza alcol, senza macchia, senza peccato, senza contaminazione. Come se esistesse un’eternità non turbata né intorbidita dalla temporalità. Come se ci fosse qualcosa di essenziale fattosi miscuglio per puro accidente. E quando ci si rassegna a pensare il cambiamento è solo per deplorare ciò che sarebbe dovuto restare immutabile e inalterabile.

Mentre il meticciato è un processo di bricolage senza fine, la purezza è dell’ordine della cernita. Essa è la stabilizzazione disperata della storia, ricostruita retrospettivamente in aiuto alle categorie del primo, del primordiale e dell’autentico, a partire dalle quali si sarebbe prodotta un’alterazione.

Tuttavia, anche ponendo un punto di partenza assoluto in rapporto al quale ci sarebbe un derivato, essa non sfugge al movimento. È essa stessa un processo: quello della purificazione, della semplificazione e della mistificazione, che ha per effetto quello di sostanzializzare, naturalizzare, destoricizzare e infine neutralizzare l’incontro con gli altri.

Questa tesi della purezza è refrattaria alla sua stessa teorizzazione perché non sopporta la prova dei fatti. Essa si riconosce votata all’assurdità. L’identità «propria», concepita come proprietà di un gruppo esclusivo, sarebbe inerziale, poiché non essere che se stesso, identico a ciò che si era ieri, immutabile e immobile, è non essere, o piuttosto non essere più, cioè morto. Essere è essere con, essere insieme, condividere – la maggior parte delle volte conflittualmente – l’esistenza. Privati del rapporto con gli altri, siamo privati dell’identità, ovvero spinti all’autismo mediante l’autosufficienza e il narcisismo.”

Il pensiero meticcio è dunque un testo che ci permette di prendere coscienza delle nostre pluralità, di vedere i noi che ci compongono nelle varie arene che frequentiamo e che costruiscono la nostra identità, i nostri pensieri, mutevoli o forse maieutici, ma mai – finché viviamo – fissi o fermi.

Melissa Pignatelli

Libro citato François Laplantine e Alexis Nouss Il pensiero meticcio, Elèuthera editrice, Milano

Immagine della mostra Harmony and Dissonance. Orphism in Paris 1910-1930 al Gugghenheim di New York dal 8 Novembre 2024 al 9 Marzo 2025 (link qui). Gli artisti legati all’orfismo si sono impegnati con idee di simultaneità in composizioni caleidoscopiche, indagando le possibilità di trasformazione del colore, della forma e del movimento.

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